PERCHÉ MANGIAMO: GUSTO, SAPORE E APPETIBILITÀ DEL CIBO

PERCHÉ MANGIAMO: GUSTO, SAPORE E APPETIBILITÀ DEL CIBO

Il cibo per noi è essenziale, è uno degli elementi senza cui l’essere umano non potrebbe sopravvivere.
Proprio per questo, la natura ha dovuto “convincerci” a cibarci quotidianamente, e per farlo si è data un aiutino con 3 “armi segrete”: il gusto, il sapore e l’appetibilità.

 

Gusto

Il gusto è considerato uno dei cinque sensi tradizionali e ha la capacità di rilevare il sapore del cibo e di alcuni minerali. L’uomo è un animale onnivoro, quindi un sistema del gusto sensibile è essenziale per poter distinguere fra cibo e sostanze tossiche. Proprio per questo, siamo caratterizzati da preferenze gustative innate, come quella per le sostanze dolci (qui ho raccontato quanto gli zuccheri, soprattutto il glucosio, siano importanti per il nostro cervello), e repulsioni istintive, come quella verso gli alimenti amari.

Il senso del gusto, dunque, ha come primo scopo quello di tenerci alla larga da ciò che ci può uccidere, facendoci al contempo desiderare ciò che è fonte di energia e nutrimento per il nostro corpo. È stato rilevato ad esempio che gli animali sono in grado di mantenere in memoria i cibi familiari che hanno già incontrato, e mostrano una risposta neofobica (cioè paura per la novità) quando incontrano un sapore nuovo (Pandurangan & Hwang, 2015).

L’esperienza può comunque modificare le preferenze gustative e allontanarci da quelle innate, tanto da farci tollerare o  anche apprezzare dei sapori amari. L’esempio più tipico è sicuramente quello del tanto amato caffè (i cui effetti sul cervello sono illustrati in questo articolo).
Malgrado il gusto decisamente amaro, quasi tutti noi italiani, superata l’infanzia, iniziamo prima a tollerarne il sapore, poi ad amarlo… e infine non riusciamo a farne a meno!

Inoltre, come già accennato riguardo il picacismo, il nostro organismo ha la capacità di riconoscere la carenza di nutrienti e, conseguentemente, indurre un appetito specifico per essi: se, per esempio, siamo in ipoglicemia ci viene immediatamente voglia di un bel dolce!

 

Dalla punta della lingua alle profondità del cervello, come percepiamo i gusti?

La lingua è l’organo alla base della percezione del gusto, ma anche palato, faringe ed epiglottide sono coinvolte. Sulla superficie linguale sono distribuiti dei piccoli rilievi chiamati papille gustative, che possono essere foliate (con forma allungata), vallate (concave) e fungiformi (a forma di fungo). Ciascuna papilla contiene centinaia di calici gustativi, formati da 50-150 cellule recettrici del gusto, cellule basali e un fascio di assoni (cioè fibre nervose).

Le cellule recettrici del gusto formano sinapsi (cioè connessioni funzionali) con gli assoni sensitivi dei calici gustativi. Lo stimolo chimico attiva la cellula recettiva, la quale innesca il rilascio di neurotrasmettitore che comunicherà il segnale gustativo al cervello (Bear, Connors & Paradiso, 2007).

Lingua e palato sono collegati al VII nervo cranico (nervo faciale) e al IX (nervo glossofaringeo), mentre glottide, epiglottide e faringe sono collegate al X nervo cranico (nervo vago). Questi nervi si collegano con un’area profonda del cervello chiamata bulbo, più nello specifico con il nucleo gustativo all’interno di esso.

Le fibre che partono dal bulbo raggiungono un’altra parte del cervello nota come Nucleo ventrale postero-mediale (VPM), che infine invia fibre nervose alla corteccia gustativa primaria, la tappa finale nella percezione del gusto.

 

Sapore

 Ora che ci siamo fatti un’idea su cosa sia il gusto, analizziamo più da vicino l’elemento che questo senso ci permette di esplorare: il sapore.

I cosiddetti “sapori fondamentali” che l’uomo riesce a percepire sono 6:

  • Amaro: le sostanze amare vengono rilevate da 30 variabili di uno stesso recettore. Quando un gusto si lega con un recettore per l’amaro, attiva una proteina che comporta la produzione di Inositolo trifosfato (IP3), il quale a sua volta promuove il rilascio di un neurotrasmettitore che stimola l’assone gustativo;
  • Dolce: questo sapore segue la stessa via dell’amaro, ma con la differenza che i recettori implicati nella sua percezione sono diversi;
  • Salato: le cellule sensibili a questo sapore fondamentale presentano canali per gli ioni di sodio (Na+), i quali conferiscono al cibo il gusto salato (non per niente il composto salato più tipico è il Cloruro di Sodio, NaCl, ovvero il comune sale da cucina);
  • Acido (o aspro): questo sapore è il risultato del contenuto di acidi negli alimenti, nello specifico dalla presenza di ioni di idrogeno (H+);
  • Umami: dal giapponese “saporito”, indica il sapore di glutammato, un aminoacido presente in alimenti ricchi di proteine. Segue la stessa via di amaro e dolce, ma anche qui i recettori implicati differiscono;
  • Kokumi: dal giapponese “koku”, “ricco”, e “mi”, “sapore”, è specifico per alcune sostanze come quelle che danno il sapore a cipolla e aglio, ma viene considerato come una componente dell’umami e non come un sesto sapore a sé.

Tutto quello che mangiamo, i nostri piatti preferiti e quelli che invece odiamo, si possono riassumere in queste 6 categorie.

Ognuno di questi sapori viene “intercettato” principalmente da una zona specifica della lingua: la punta percepisce di più il dolce, il fondo l’amaro e i lati l’acido e il salato.

 

Appetibilità

Possiamo definire l’appetibilità come la ricompensa edonica fornita da cibi e bevande, ovvero il piacere che proviamo nel mangiare e bere (Pandurangan & Hwang, 2015). L’appetibilità di un alimento o di un liquido dipende dallo stato di un individuo: è minima dopo il consumo di esso e massima quando si è in stato di privazione (ibidem).

L’appetibilità di un alimento è determinata dai processi correlati ai recettori oppioidi (si, il nostro corpo produce sostanze simili all’oppio) nelle aree cerebrali del nucleus accumbens, del pallido ventrale e dell’amigdala basolaterale (Peciña & Berridge, 2000).

La fame edonica può essere guidata dal desiderio e dal gradimento (ibidem).

Il nostro corpo ha pensato a tutto e, per evitare di mangiare fino a sentirsi male, ha progettato una sorta di “interruttore” interno che accende e spegne l’appetito. La regolazione dell’appetito si basa infatti sui due meccanismi di feedback: un feedback positivo, il quale viene stimolato da elementi di appetibilità dei cibi, e un feedback negativo, dovuto ai segnali di sazietà dopo l’ingestione (Smith, 2000). Per saperne di più, potete leggere il nostro articolo su Fame e Sazietà.

La cessazione del desiderio di mangiare a seguito di un pasto è dovuta a diversi processi e stimoli, e cibi più appetibili riducono gli effetti dei segnali di sazietà aumentando l’assunzione di cibo (Smith, 1996)… insomma, se mangiamo qualcosa che ci piace molto, ne mangeremo di più prima di sentirci sazi!

Si ritiene che l’appetibilità dei cibi nei primati sia valutata dalla corteccia orbitofrontale. Gli agonisti degli oppioidi (cioè sostanze che mimano l’effetto degli oppioidi) inducono l’assunzione di cibo, mentre gli antagonisti (sostanze che inibiscono gli effetti degli oppioidi) la riducono (Pandurangan & Hwang, 2015). In pratica, gli oppioidi migliorano l’appetibilità del cibo portando ad aumentarne l’assunzione.

Possiamo concludere quindi che la bontà di un cibo (quindi il suo sapore) è importantissimo per spingerci, attraverso il gusto, a decidere di mangiarlo e, considerando il piacere che la sua bontà ci fornisce (appetibilità), cercarlo e mangiarlo ancora ogni volta che ne abbiamo voglia.

 

Adriano Acciarino,
Psicologo e Ph.D. in Psicologia e Neuroscienze Sociali,
Professore a contratto di Pedagogia Generale e  Sociale

 

 

BIBLIOGRAFIA

  • Bear, M. F., Connors, B. W. & Paradiso, M. A. (2007). Neuroscienze. Esplorando il cervello. Elsevier, 3° edizione.
  • Pandurangan, M., & Hwang, I. (2015). Systemic mechanism of taste, flavour and palatability in brain. Applied biochemistry and biotechnology, 175(6), 3133-3147.
  • Peciña, S., & Berridge, K. C. (2000). Opioid site in nucleus accumbens shell mediates eating and hedonic ‘liking’for food: map based on microinjection Fos plumes. Brain research, 863(1-2), 71-86.
  • Smith, G. P. (1996). The direct and indirect controls of meal size. Neuroscience & Biobehavioral Reviews, 20(1), 41-46.
  • Smith, G. P. (2000). The controls of eating: a shift from nutritional homeostasis to behavioral neuroscience. Nutrition, 16(10), 814-820.

Autore dell'articolo: Redazione