Pica: mangiare ciò che non è commestibile

Pica: mangiare ciò che non è commestibile

La nostra relazione con il cibo non è sempre equilibrata, e come tutti sappiamo esistono diversi disturbi dell’alimentazione, tra cui i più noti sono sicuramente l’anoressia (di cui ho parlato in questo articolo), la bulimia e il binge eating (di cui invece ho parlato in questo articolo).

Questi sono solo i più noti tra i disturbi della nutrizione e dell’alimentazione di cui possiamo essere vittima, ma ce ne sono molti altri, purtroppo.

 

Pica: la “gazza affamata”

Uno dei più curiosi e meno conosciuti (anche se in alcune trasmissioni televisive se ne è parlato in termini di “ossessione”) è sicuramente il disturbo noto come “Pica”, già descritto da Ippocrate ben 2000 anni fa come una “corruzione del sangue” (Adams, 1849). La parola latina Pica indica la gazza, un uccello che nell’immaginario collettivo è considerata capace di mangiare qualsiasi cosa indiscriminatamente.

Il picacismo (o allotriofagia) è caratterizzato dunque dall’ingestione continuativa nel tempo di sostanze che non possiedono nutrienti di nessun tipo e che non sono commestibili. È stata specificata la non commestibilità delle sostanze per evitare di diagnosticare la Pica a chi semplicemente ha una dieta a base di prodotti ad apporto calorico minimo (come ad esempio il dolcificante).

Secondo la quinta edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5, 2013, traduzione italiana 2014), per diagnosticare la Pica in un individuo è necessario che quattro criteri principali vengano rispettati:

  1. L’ingestione delle sostanze deve persistere per almeno un mese;
  2. Questa ingestione deve essere inappropriata rispetto allo stadio di sviluppo dell’individuo (il DSM-5 suggerisce proprio a questo proposito di non diagnosticare la Pica sotto i 2 anni di età, per escludere il normale gesto dei bambini molto piccoli di portare gli oggetti alla bocca per esplorarli);
  3. L’ingestione di sostanze non commestibili non deve far parte di una specifica pratica della cultura di appartenenza dell’individuo;
  4. Se il disturbo del picacismo si presenta in concomitanza con altri disturbi mentali (come ad esempio disabilità intellettiva, disturbo dello spettro dell’autismo o negli adulti schizofrenia) o altre condizioni mediche, deve essere sufficientemente grave per giustificare un’ulteriore e specifica attenzione clinica.

 

Cosa mangia chi è affetto da picacismo?

Nella Pica solitamente le sostanze ingerite tendono a variare in base all’età dell’individuo che ne è affetto e, più banalmente, all’effettiva disponibilità di determinate sostanze piuttosto che altre.
Le sostanze più comunemente ingerite da questi pazienti sono le seguenti: carta, sapone, stoffa, capelli, lana, terra, gesso, talco in polvere, vernice, gomma, metallo, ciottoli, carbone, cenere, creta, amido e ghiaccio (sempre secondo il DSM-5).

Il nome dato all’abitudine di picacismo varia in base alla sostanza consumata regolarmente dall’individuo: ad esempio di parla di geofagia quando viene ingerita la terra, rizofagia quando viene mangiato del riso non cotto, pagofagia quando viene invece ingerito regolarmente del ghiaccio (una delle forme più comuni negli USA), amilofagia quando viene ingerito amido o pasta cruda, e la curiosa cautopireiofagia, cioè l’ingestione di teste di fiammifero bruciate (Borgna-Pignatti & Zanella, 2016).

A differenza di altri disturbi dell’alimentazione, nella Pica solitamente non è presente una generale avversione nei confronti del cibo, tanto che esiste una variante (non presente nel DSM-5) definita Food Pica, dove gli individui mangiano compulsivamente uno stesso cibo, solitamente croccante (Crosby, 1971).

 

Perché qualcuno dovrebbe mangiare sostanze non commestibili?

Il nostro organismo possiede un’importante capacità: quella di riconoscere la carenza di specifici elementi fondamentali e, conseguentemente, di indurre un appetito specifico per essi. Per esempio, proviamo una maggior voglia di cibo salato quando il nostro organismo è in una condizione di iposalinemia (cioè ridotte quantità di sale).

Nel caso della Pica, dunque, c’è qualche carenza che ci spinge a ingerire sostanze non alimentari?

Le ipotesi sulla eziopatogenesi (cioè sulle cause e sul meccanismo d’azione) della Pica, nello specifico con comportamento di geofagia (che, come abbiamo detto, è l’ingestione di terra), sono principalmente tre, due vengono definite adattive (ovvero che permettono  all’organismo di adattarsi all’ambiente circostante) e la terza non adattiva (Young et al., 2011):

  • Secondo la prima ipotesi, verrebbero ingerite sostanze in grado di contrastare carenze fisiologiche di calcio, sodio, zinco e ferro.
  • La seconda ipotesi, invece, attribuisce all’ingestione di terra un ruolo di protezione da enterotossine (cioè sostanze tossiche per l’intestino) e parassiti attraverso una riduzione della permeabilità delle pareti intestinali.
  • Secondo la terza ipotesi, l’unica non adattiva, la geofagia non avrebbe di per sé un ruolo di nutrizione o protezione, ma sarebbe un epifenomeno (cioè un fenomeno accessorio secondario) di un disturbo a livello neurologico causato da deficienze nutrizionali (ibidem).

 

Possibili carenze in chi è affetto da Pica e il suo rapporto con l’anemia

In uno studio (Bryant et al., 2013) è stata evidenziata la presenza di Pica nell’11% degli individui con carenza di ferro, mentre in uno studio più recente la Pica è stata associata a una probabilità 2,35 volte superiore di essere affetti da anemia (quindi carenza di ferro) e ridotti livelli di zinco nel sangue (Miao et al., 2015).

Su questa stessa linea, in alcuni studi è stato dimostrato che una cura di ferro (principalmente per infusione) porta a una riduzione e infine eliminazione del comportamento picacistico (Giudicelli & Combes, 1992; Auerbach & Adamson, 2016).

È stata inoltre evidenziata una carenza di selenio in bambini con conclamata diagnosi di Pica e di anemia (Bay et al., 2013).

 

Il cervello e il picacismo

È stato suggerito da alcuni studiosi che l’espressione della Pica negli esseri umani sia influenzata dal contenuto di ferro a livello dell’Ippocampo, un’area cerebrale molto importante per processi cognitivi come la memoria e l’orientamento spaziale (Borgna-Pignatti & Zanella, 2016).

Sembra inoltre giochino un ruolo chiave la percezione olfattiva e quella gustativa. Uno studio sui ratti ha mostrato una maggiore presenza, all’interno dei bulbi olfattivi (le aree del cervello deputate all’olfatto, molto più grandi nei ratti che nell’uomo) nei ratti con carenza di ferro, di DMT-1, ovvero il trasportatore dei metalli bivalenti, che trasporta anche gli ioni ferro Fe++ (Mackler et al., 1978). I meccanismi molecolari olfattivi e gustativi coinvolgono l’attività del DMT-1, la concentrazione del quale è direttamente influenzata dai livelli di “sazietà” di ferro nel nostro organismo (Ruvin Kumara & Wessling-Resnick, 2012).

Sono stati riportati in letteratura scientifica diversi casi di pazienti che hanno sviluppato la Pica come sintomo dopo traumi cerebrali o durante il progredire di patologie neurodegenerative (Funayama et al., 2017). Individui che sviluppano Pica dopo un trauma presentano principalmente lesioni a livello del giro temporale mediale, un’area della corteccia cerebrale implicata in diverse funzioni, e gli stessi pazienti sono solitamente caratterizzati da deficit di memoria semantica, ovvero quella componente della memoria che riguarda le conoscenze generali sul mondo (ibidem).

L’esatta incidenza di questo disturbo nella popolazione non è nota, ma sicuramente è diffusa da tempo (basti pensare alla descrizione fattane da Ippocrate) ed è importante scoprire di più sulla Pica per trovare strategie terapeutiche efficaci.

 

Adriano Acciarino,
Psicologo e Ph.D. in Psicologia e Neuroscienze Sociali,
Professore a contratto di Pedagogia e Psicologia Sociale

 

BIBLIOGRAFIA

  • Adams, F. (1849). The genuine works of Hippocrates. Sydenham society.
  • American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fifth Edition, DSM-5. Arlington, VA. (Tr. It.: Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Quinta edizione, DSM-5. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014).
  • Auerbach, M., & Adamson, J. W. (2016). How we diagnose and treat iron deficiency anemia. American journal of hematology, 91(1), 31-38.
  • Bay, A., Dogan, M., Bulan, K., Kaba, S., Demir, N., & Öner, A. F. (2013). A study on the effects of pica and iron-deficiency anemia on oxidative stress, antioxidant capacity and trace elements. Human & experimental toxicology, 32(9), 895-903.
  • Borgna-Pignatti, C., & Zanella, S. (2016). Pica as a manifestation of iron deficiency. Expert review of hematology, 9(11), 1075-1080.
  • Bryant, B. J., Yau, Y. Y., Arceo, S. M., Hopkins, J. A., & Leitman, S. F. (2013). Ascertainment of iron deficiency and depletion in blood donors through screening questions for pica and restless legs syndrome. Transfusion, 53(8), 1637-1644.
  • Funayama, M., Muramatsu, T., Koreki, A., Kato, M., Mimura, M., & Nakagawa, Y. (2017). Semantic memory deficits are associated with pica in individuals with acquired brain injury. Behavioural brain research, 329, 172-179.
  • Crosby, W. H. (1971). Food pica and iron deficiency. Archives of Internal Medicine, 127(5), 960-961.
  • Giudicelli, J., & Combes, J. C. (1992). Pica and iron deficiency in adolescence. Archives françaises de pédiatrie, 49(9), 779-783.
  • Mackler, B., Person, R., Miller, L. R., Inamdar, A. R., & Finch, C. A. (1978). Iron deficiency in the rat: biochemical studies of brain metabolism. Pediatric research, 12(3), 217-220.
  • Miao, D., Young, S. L., & Golden, C. D. (2015). A meta-analysis of pica and micronutrient status. American Journal of Human Biology, 27(1), 84-93.
  • Ruvin Kumara, V. M., & Wessling-Resnick, M. (2012). Olfactory ferric and ferrous iron absorption in iron-deficient rats. American Journal of Physiology-Lung Cellular and Molecular Physiology, 302(12), L1280-L1286.
  • Young, S. L., Sherman, P. W., Lucks, J. B., & Pelto, G. H. (2011). Why on earth?: evaluating hypotheses about the physiological functions of human geophagy. The Quarterly review of biology, 86(2), 97-120.

Autore dell'articolo: Redazione