Conosciamo tutti molto bene la sensazione di fame o di appetito, come conosciamo altrettanto bene quella di sazietà.
Come fa però il nostro cervello a farci capire che abbiamo fame o che siamo ormai sazi?
E perché a volte “ci inganna” inducendoci ad assumere molte più calorie di quelle di cui avremmo bisogno? Possiamo invece ingannarlo noi e trovare degli escamotage per sentirci sazi più in fretta?
Fame, sazietà e gusto nel passato
L’appetito (dal latino appetitus, “aspirare a”) viene inteso come un desiderio di cibo che necessita di essere soddisfatto e che, se insoddisfatto, porta alla fame, una necessità fisiologica impellente di alimentarsi.
Sin dall’inizio della storia umana, questi due stimoli corporei hanno avuto un’importanza centrale nella vita quotidiana di ogni essere umano, scandendo il tempo e spronando la loro intelligenza al fine di potersi nutrire e, dunque, sopravvivere. È probabile infatti che il livello cognitivo dell’Homo Sapiens Sapiens sia stato raggiunto anche grazie alla necessità di ingegnarsi per potersi nutrire e sopravvivere.
Il gusto, uno dei nostri cinque sensi “canonici”, si è sviluppato per due ragioni principali:
- permetterci di capire se ciò che stiamo mangiando è tossico oppure no (questo ruolo spetta soprattutto al sapore amaro, che impariamo ad apprezzare solo “allenandoci” all’amarezza, ad esempio bevendo caffè, una sostanza dalle molteplici proprietà di cui abbiamo già parlato in questo articolo), e in questo ci viene in aiuto anche l’emozione di disgusto, la quale spinge la muscolatura facciale a chiudere le narici ed espellere il cibo dalla bocca;
- per spingerci ad assumere proprio quei nutrienti di cui abbiamo bisogno in quel determinato momento: se, per esempio, siamo in uno stato di ipoglicemia (ovvero carenza di zuccheri) avremo più voglia di mangiare qualcosa di dolce piuttosto che qualcosa di salato.
Oggi sappiamo scientificamente che il cervello rappresenta il principale coordinatore dello stimolo di appetito e del peso corporeo (Heisler & Lam, 2017).
Negli anni ’40 del secolo scorso venne proposto un modello a due centri cerebrali per spiegare il comportamento di ingestione di cibo (Hetherington & Ranson, 1940):
- Fame: frutto dell’attività della porzione laterale dell’ipotalamo, un’area cerebrale profonda che regola i meccanismi autonomi del nostro organismo (come attività endocrina, sonno e termoregolazione);
- Sazietà: frutto invece dell’attività dell’ipotalamo ventromediale.
Questa concezione, che possiamo definire locazionista (in quanto vede specifiche funzioni localizzate in altrettanto specifiche aree cerebrali), è stata col tempo superata e integrata grazie a nuove tecnologie e nuovi metodi di studio in grado di entrare più in profondità.
L’ipotalamo e lo stimolo a mangiare
L’ipotalamo rimane a tutt’oggi un’area cerebrale di rilievo per l’appetito, e studi più recenti hanno permesso di comprendere meglio il suo funzionamento e le cellule implicate.
L’area dell’ipotalamo chiamata nucleo arcuato, la quale gioca un ruolo chiave nell’integrazione di segnali endocrini (quindi ormonali e ghiandolari) con segnali esogeni (cioè derivanti dall’ambiente esterno all’organismo), contiene nei topi una popolazione specifica di circa 10000 neuroni che producono una sostanza chiamata peptide agouti-correlato (AgRP), la quale guida il comportamento di nutrizione vorace in questi animali, anche quando sono già sazi (Aponte et al., 2011; Krashes et al., 2011).
Questi neuroni AgRP sono in generale necessari per indurre il consumo di cibo (Luquet et al., 2005; Gropp et al., 2005).
Gli effetti di questi neuroni del nucleo arcuato, inoltre, sono mediati dall’acido γ-aminobutirrico (GABA), il principale neurotrasmettitore inibitorio del sistema nervoso, e dal neuropeptide Y (Krashes et al., 2013; Atasoy et al., 2012).
Un’altra area dell’ipotalamo, il nucleo paraventricolare, guida l’alimentazione attraverso un meccanismo che coinvolge i neuroni AgRP del nucleo arcuato (Krashes et al., 2014).
Anche la porzione laterale dell’ipotalamo, come ipotizzato già negli anni ’40 da Hetherington e Ranson, gioca un ruolo nei comportamenti di consumo di cibo.
Nello specifico, l’attivazione dei neuroni GABAergici (ovvero che utilizzano il GABA come neurotrasmettitore) in questa regione cerebrale aumenta significativamente la tendenza a mangiare (Jennings et al., 2015).
Quando l’attività di questi neuroni viene regolata da segnali inibitori provenienti da un’altra area cerebrale profonda, il nucleus accumbens (NAcc), il comportamento di nutrizione viene soppresso, anche quando i topi sono affamati (O’Connor et al., 2015).
Il ruolo di altre regioni cerebrali
Il cosiddetto nucleo parabrachiale (PBN), situato anch’esso in profondità, utilizza il glutammato, il principale neurotrasmettitore con potere eccitatorio nel nostro organismo, ed esprime il peptide correlato al gene per la calcitonina (CGRP), il quale sopprime l’appetito agendo su un’altra regione cerebrale, l’amigdala (letteralmente, “mandorla”), un piccolo nucleo interno al cervello importantissimo inoltre per le reazioni emotive (Carter et al., 2013). Questo effetto di sazietà viene inibito proprio dai neuroni AgRP dell’ipotalamo, promuovendo l’ingestione di cibo (Wu et al., 2009).
Il nucleo dorsale del Raphe (DRN) è stato più recentemente studiato per il suo coinvolgimento nell’alimentazione. Sembra infatti che il DRN presenti al suo interno sia neuroni con attività inibitoria che eccitatoria. I primi aumentano l’appetito, mentre gli altri lo sopprimono, inducendo dunque sazietà (Heisler & Lam, 2017).
I neuroni all’interno del nucleo del tratto solitario (NTS), una porzione del midollo dorsale, i quali esprimono la colecistochinina (CKK), un ormone rilasciato dopo ricchi pasti, risultano attivi quando ci si nutre, e questa attivazione si traduce in una soppressione dell’appetito (Roman et al., 2016; D’Agostino et al., 2016).
Questo effetto viene mediato dall’attività di due aree che abbiamo già conosciuto, cioè i nuclei paraventricolare e parabrachiale (D’Agostino et al., 2016).
Altre aree che risultano implicate nelle dinamiche di appetito/alimentazione/sazietà sono l’amigdala centrale (già indirettamente implicata attraverso il nucleo parabrachiale) (Cai et al., 2014; Douglass et al., 2017), la corteccia prefrontale (PFC, un’area superficiale), soprattutto con i suoi neuroni che ricevono il neurotrasmettitore dopamina (Land et al., 2014), e una regione subito sotto al talamo dal nome molto curioso: zona incerta (Zhang & van den Pol, 2017).
Cervello e intestino comunicano costantemente e si condizionano a vicenda
Abbiamo già parlato del gut-brain axis, o asse intestino-cervello, in questo articolo : si tratta di una comunicazione bidirezionale tra il sistema nervoso centrale e il sistema nervoso enterico, che collega i centri cognitivi del cervello con le funzioni intestinali periferiche (Rhee et al., 2009).
La comunicazione fra cervello e intestino è essenziale per i processi di omeostasi, ovvero di mantenimento degli equilibri organici.
In un recente studio (Beutler et al., 2017), è stato dimostrato come l’infusione intragastrica di nutrienti sia in grado, su modelli animali, di inibire rapidamente e in maniera duratura i neuroni AgRP.
Questa inibizione specifica risulta essere proporzionale al numero di calorie infuse, ma stranamente non dipende né dal tipo di nutrienti né dallo stato nutrizionale degli animali (ibidem). Gli autori hanno inoltre dimostrato come tre specifici ormoni a livello gastrointestinale siano necessari o sufficienti per ottenere questa inibizione:
- Serotonina (5-HT): un ormone e neurotrasmettitore importantissimo per la regolazione dell’umore e dell’appetito;
- Colecistochinina (CCK): abbiamo già parlato della CCK, un ormone rilasciato dopo pasti molto abbondanti nel nucleo del tratto solitario;
- Peptide YY (PYY): un ormone secreto dall’intestino dopo pasti ricchi di grassi e proteine, che agisce in sinergia con la CCK nell’induzione del senso di sazietà.
Perché “abbiamo sempre fame”?
L’appetito, l’alimentazione e la sazietà sono processi molto complessi, con una base chimica e biologica ben precisa. Anche il nostro cervello è implicato in questi processi, ed è da subito risultato evidente il coinvolgimento dell’ipotalamo in essi.
Come mai però, nonostante esista la sazietà e sia un meccanismo ben strutturato, a volte mangiamo per “gola” e non solo per appetito?
In questo articolo, in cui abbiamo trattato la tematica dell’abbuffata, o binge eating, le droghe d’abuso e il cibo condividono alcuni circuiti cerebrali implicati nella ricompensa, ovvero nella percezione del piacere.
Nel caso del cibo, come per l’attività sessuale, questo piacere ha una funzione evoluzionistica ben precisa: rinforzare un comportamento.
Se mangiare non ci procurasse piacere, il primo essere umano vivente sarebbe morto di fame, e se l’attività sessuale non ci procurasse piacere la prima coppia di esseri umani non avrebbe mai generato prole, e ci saremmo estinti molto prima che io scrivessi questo articolo!
Questi stimoli che procurano piacere inducono rilascio di dopamina nel già citato nucleus accumbens, il quale dunque ha un ruolo nell’alimentazione anche dal punto di vista della ricompensa.
Possiamo “ingannare” il senso di fame e sentirci sazi senza aver mangiato?
Il progresso scientifico ci ha permesso di ampliare sempre di più la nostra conoscenza sull’appetito e sulla sazietà, donandoci una panoramica molto vasta e dettagliata (anche se non ancora completa) sulla bellezza che risiede nel funzionamento umano.
Alla grande, gigantesca domanda “come possiamo ridurre il senso di fame e sentirci sazi?”, mi sento di rispondere con due possibilità:
- posso infilarmi un elettrodo nell’ipotalamo e darmi una scossa ogni volta che ho fame;
- posso fare una cosa un po’ meno invasiva: mangiare.
Scherzi a parte, avere appetito o fame è fisiologico e funzionale per noi (come per tutti gli altri animali), perché serve a spingerci a mangiare per fornire al nostro organismo tutti i nutrienti di cui ha bisogno.
L’unico “trucco” per regolare la nostra alimentazione è lavorare sulla qualità e sulla quantità di ciò che mangiamo: più pasti al giorno poco calorici, tante verdure e riusciremo a perdere peso senza soffrire la fame (ma su questo non fidatevi di me, fidatevi di ciò che dicono i dietologi e i nutrizionisti esperti!).
Adriano Acciarino,
Psicologo e Ph.D. in Psicologia e Neuroscienze Sociali,
Professore a contratto di Pedagogia Generale e Sociale
BIBLIOGRAFIA
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