La dieta vegana è davvero “etica”?

Vegetariani e vegani motivano da sempre le loro scelte alimentari come scelte “etiche”, dettate dal rispetto sia per la vita degli animali che per l’ambiente.
Ma davvero nei loro piatti non ci sono tracce di violenza, soprusi e devastazioni ambientali?

Un articolo molto critico, apparso pochi giorni fa su The Vision, attacca questa convinzione, smascherando con forza quello che si nasconde dietro la produzione massiva di molti dei prodotti che vegetariani e vegani portano quotidianamente a tavola, come sostituti degli alimenti di origine animale.

Lo sviluppo insostenibile

Quinoa, mandorle, anacardi, avocado e soia.
La domanda, a livello internazionale, di questi alimenti è esplosa negli ultimi anni, stravolgendo in molti casi la vita dei coltivatori e i territori dove sono coltivati.

La quinoa, ad esempio, coltivata tra Bolivia e Perù, ha visto triplicare il suo prezzo (toccando e superando i tremila euro a tonnellata).

L’impennata del prezzo l’ha resa troppo costosa per i suoi stessi coltivatori, che hanno dovuto rinunciare nella loro dieta quotidiana a questo alimento ricchissimo di nutrienti.
Bolivia e Perù sono Paesi dove la malnutrizione infantile è ancora un serio problema, che prima, in parte, si contrastava anche grazie alla quinoa.

Gli avocado in Messico sono ormai chiamati “oro verde” e il loro commercio è finito nelle maglie dei cartelli della droga che minacciano, derubano e uccidono i contadini che non si piegano alle loro pretese.

Nel 2014 il WWF ha pubblicato un dossier sulla soia, l’alimento principe, più famoso e sfruttato da chi ha rinunciato a carne e derivati animali.

Con questo documento il WWF ha voluto far luce sulla drammatica deforestazione dell’Amazzonia, polmone del pianeta, che ogni anno perde oltre 1,5 milioni di ettari di terreno.

La produzione di soia è purtroppo la principale responsabile della deforestazione, insieme all’espansione dei pascoli, agli incendi e alla costruzione di strade asfaltate.

La pagliuzza nell’occhio dell’altro e la trave nel proprio

Ciò che stupisce non è tanto il fatto che qualcuno che definisce “etiche” le proprie scelte alimentari – in contrasto con chi ne ha fatte di diverse dalle sue – poi non conosca le dinamiche contorte, i danni ambientali e le violenze che troppi lavoratori subiscono per permettere loro di fare queste scelte “etiche”. Quello che stupisce davvero è che queste stesse persone conoscano poi a menadito tutto ciò che di dannoso e iniquo deriva dalla produzione di ciò che hanno deciso di eliminare dalla propria tavola.

Se infatti molti vegani e vegetariani ignorano (o preferiscono ignorare) i danni provocati dalle colture intensive di soia, sono invece molto preparati quando si tratta di olio di palma.

Come abbiamo già avuto modo di spiegare in questo articolo, venuta meno la fobia per i fantomatici danni che l’olio di palma arrecherebbe alla salute, i suoi detrattori hanno virato verso la sua insostenibilità.

Dati alla mano, sia Amnesty International sia Terra! Onlus hanno denunciato violazioni dei diritti fondamentali dell’uomo, sfruttamento del lavoro minorile e deforestazione selvaggia, ma questi gravi reati non riguardano solo l’olio di palma ma anche gli oli con i quali è stato sostituito, come quello di colza, o anche la tanto amata soia.

Allora perché non si è sollevato lo stesso putiferio che fu sollevato per l’odio di palma?

Forse perché mettere in discussione la propria supposta superiorità morale fa troppo male? Ma bisogna essere onesti e riconoscere che al momento molte colture intensive di prodotti salutari stanno danneggiando la vita dei coltivatori e l’ambiente nel quale sono coltivate.

Altrimenti si utilizzano due pesi e due misure che, ovviamente, non fanno il bene di nessuno, né dei lavoratori sfruttati, né del benessere del pianeta, né della salute dei consumatori.

Ma è solo “colpa” di vegetariani e vegani?

Ovviamente no.

Ad esempio, solo il 6% di tutta la produzione di soia è destinato all’alimentazione umana, mentre oltre il 76% è destinato all’alimentazione degli animali da allevamento.

Non dimentichiamoci poi che dagli allevamenti intensivi di animali deriva il 20% delle emissioni di gas serra nell’atmosfera, e che anch’essi provocano disboscamenti e inaridiscono terreni. Una alternativa potrebbe essere la carne sintetica? Ne abbiamo parlato in questo articolo.

Per ottenere un vero cambiamento, a prescindere dall’aderire o meno all’antispecismo vegano, bisogna prendere consapevolezza del fatto che, più che una questione di scelte alimentari individuali, quello che fa davvero la differenza sono le scelte che a monte fanno coltivatori, allevatori e distributori. Perché nessun consumatore può controllare chicco dopo chicco tutto ciò che ha nel piatto e deve demandarne la verifica agli organi nazionali e sovranazionali.

Si tratta di questioni molto serie, che devono essere regolamentate nella maniera più severa possibile e costantemente aggiornate secondo nuove ricerche, tecniche e tecnologie, per salvaguardare davvero l’ambiente.

Autore dell'articolo: Redazione