Quante volte ci siamo chiesti perché alcune persone ingrassano al primo “strappo alla regola” a tavola, mentre altre sembrano in grado di ingurgitare il triplo delle calorie che assumiamo noi, restando sempre asciutti, se non addirittura sottopeso…? E perché certe diete funzionano benissimo su alcune persone, mentre su altre ottenono risultati scarsi o pressoché nulli? Dipende solo dalla forza di volontà?
Novità scientifiche
La rivista scientifica The Lancet ha pubblicato un report in cui vengono analizzati i dati di oltre 50 studi su ricerche legate alla dieta e al calo di peso: la conclusione – a tratti sorprendente – che se ne trae è che le diete povere di grassi non aiutano a perdere più peso rispetto alle diete più ricche di grassi.
La ragione fondamentale per la quale una dieta funziona su qualcuno e su qualcun altro no è che ogni individuo è unico, come unico è il suo processo di digestione, grazie non soltanto ai suoi geni ma anche alla peculiare composizione della flora batterica che abita nel suo apparato digestivo.
La conferma a queste deduzioni viene dall’articolo “Personalized Nutrition by Prediction of Glycemic Responses” pubblicato sulla rivista scientifica Cell e riguardante una ricerca effettuata dal Weizmann Institute of Science di Israele.
Per valutare l’impatto dei singoli alimenti sul metabolismo di ognuno di noi, i ricercatori del Weizmann Institute hanno collegato 800 persone a dei macchinari portatili che hanno monitorato i livelli di glucosio nel loro sangue per un’intera settimana, durante la quale ognuno di loro ha consumato gli stessi identici pasti degli altri 799.
La glicemia è un valore importante da tenere sotto controllo quando si combatte con l’ago della bilancia: tutto l’eccesso di glucosio, ovvero di zuccheri, nel sangue viene infatti trasformato il grasso, soprattutto addominale.
I risultati sono stati assai interessanti: in alcuni dei soggetti testati, una dieta povera di carboidrati e ad alto contenuto di proteine faceva schizzare in altro la glicemia persino più di un vassoio di dolci!
La causa di queste “bizzarrie” sarebbe da ricercare nella flora batterica intestinale di ogni singola persona, composta da percentuali variabili di oltre un trilione di batteri differenti, percentuali assolutamente uniche da soggetto a soggetto.
Questa scoperta spiegherebbe perché per alcuni individui certi regimi dietetici funzionano mentre altri non perdono nemmeno mezzo chilo o addirittura continuano a ingrassare.
L’obiettivo a lungo termine dei ricercatori è quindi di poter aiutare le persone in sovrappeso a capire quali sono gli alimenti che il loro corpo assimila nella maniera sbagliata, per poterli così aiutare nella perdita di peso.
La seconda fase dello studio è già iniziata, e ha portato alla realizzazione di un algoritmo che dovrebbe produrre la “dieta perfetta” per ogni essere umano. Questo algoritmo è stato testato su 100 volontari e anche qui i risultati hanno sorpreso tutti: non soltanto il livello di glucosio del sangue dei soggetti è sceso stabilmente, ma la loro flora intestinale si è drasticamente modificata.
La speranza non è soltanto quella di aiutare le persone obese o in sovrappeso a dimagrire, ma anche – e soprattutto – di preservare la loro salute cardiaca e prevenire l’insorgenza di malattie come il diabete.
Ovviamente ci vorrà ancora tempo prima che si arrivi a questo genere di diete personalizzate in base al proprio DNA e alla propria flora batterica; diete nelle quali andrà in qualche modo considerato anche lo stile di vita di ogni paziente e l’ambiente in cui vive, oltre a molte altre altre variabili.
La fine delle famigerate “RDA”…?
Una cosa è certa: se ogni persona reagisce in modo davvero così sensibilmente diverso ai cibi che ingerisce, le indicazioni presenti in tutte le etichette alimentari, riportanti la percentuale di RDA (Recomended Daily Amount, o “Dose Giornaliera Raccomandata”) perdono quasi del tutto la propria utilità. Il concetto di RDA si basa infatti sulla quantità media – appunto – che una persona dovrebbe assumere ,di un determinato cibo o alimento, in un giorno. Ma se la media non tiene conto di necessità e tolleranze così diverse per ogni individuo, è in via definitiva quasi impossibile che la RDA indichi la quantità giusta di alimento per ognuno di noi.
Se da anni i nutrizionisti ci consigliano “2 cucchiai di olio d’oliva al giorno”, alcuni di noi potrebbero – o forse dovrebbero – assumerne almeno 4, e altri dovrebbero starne alla larga: stesso dicasi per zuccheri, amidi, proteine animali…
Quale sarà il cibo del futuro?
L’Unione Europea sta in questo periodo finanziando lo studio “Food4Me” che promuove la ricerca nei campi della Medicina personalizzata e della Nutrigenomica. Per il progetto “Food4Me” al momento circa 1.500 persone sono state selezionate in maniera randomica e sottoposte a diete personalizzate in base al loro genoma oppure a diete “standard” per valutare la differenza di impatto tra una dieta nutrigenomica e un regime alimentare “genericamente valido per tutti”. Le iscrizioni sono ancora aperte.
In attesa che la Nutrigenomica evolva e che i medici si specializzino nella sua applicazione, non ci resta che seguire le regole base di una sana alimentazione, che certamente aiutano a mantenersi in salute: un esempio è la Dieta Mediterranea, Patrimonio dell’Unesco e punto di riferimento per i medici nutrizionisti di tutto il mondo.
Buon appetito, quindi, ma con giudizio!