Buon Cibo, Ristorazione e Corretta Nutrizione sono temi importanti, oggi onnipresenti sui media e non sempre trattati con la dovuta preparazione e correttezza. Parliamo del futuro della Comunicazione del settore Food con Nicoletta Polliotto, fondatrice e project manager di Muse Comunicazione, docente e conference speaker di Digital Marketing con una ventennale esperienza nel settore della Comunicazione Online e del Digital Marketing.
Ci descriva brevemente il suo lavoro: come è nata la sua passione per il settore del food e dell’informazione alimentare?
Grazie per esordire con una domanda che fa leva sulle spinte, sulle motivazioni, sui meccanismi decisionali che ci sono dietro alle attività di ciascuno di noi. Apprezzo anche moltissimo il tuo citare la “passione”. Sia che il nostro operato sia dettato da esigenze di mercato o da percorsi studiati a tavolino, l’ingrediente principale del piatto è sempre l’amore per le cose che facciamo.
Il focus sul food marketing e sui servizi per la ristorazione nasce da un’intuizione o meglio un’ispirazione, visto che la nostra agenzia si chiama Muse Comunicazione! Da 10 anni ci occupiamo di Turismo e del Settore Alberghiero ma 8 anni fa abbiamo iniziato ad analizzare la comunicazione dei ristoranti, trovandola imbarazzante.
Inoltre la situazione dei ristoranti alberghieri era tragica, tanto che si era diffuso il detto: “non mangiare dove dormi, non prendere il caffè dove mangi!” E la ristorazione alberghiera era considerata un servizio ancillary. Per non parlare poi del Made in Italy… vedevamo brand del food imbufaliti per i prodotti taroccati ma poche vere iniziative di comunicazione e protezione del marchio soprattutto online.
Abbiamo quindi iniziato a lavorare, in modo assolutamente visionario, sul nostro blog CnR – Comunicazione nella Ristorazione, per diffondere know-how digitale e parlare delle opportunità dei nuovi strumenti. Il tempo ci ha dato ragione.
Secondo lei perché il cibo è diventato l’ossessione dei mass media?
Il Food si è ormai evoluto da bisogno primario (dal gradino più elementare della piramide di Maslow) divenendo prima oggetto del desiderio e di riscossa sociale, poi status symbol, fino a questo ruolo di centralità nella scena mediatica contemporanea, sulla carta stampata, in televisione, nell’editoria, sul web, nel social network.
“Grazie a MasterChef i bambini vogliono fare gli Chef e non solo i calciatori” – ha dichiarato lo Chef Bruno Barbieri! Il Cibo è diventato così attraente perché è facile inocularvi altri messaggi sempre legati alla sensorialità e all’emozione. Molti brand di altri ambiti lo hanno compreso e lo sfruttano (si veda l’esempio del video di IKEA) .
Il cibo è un portatore sano di emozione. Come l’immagine fotografica è un rapido, diretto (e universale) veicolo di messaggi molto forti – e con un indice di condivisibilità altissimo – così, e forse di più, lo è il Food.
In più io noto una crescita di “voyeurismo eno-gastronomico”. Ci piace molto (e talvolta perversamente) “guardare” la preparazione di ricette complesse perché sappiamo che non avremo mai né il tempo, né la capacità, né la voglia di cucinare tutte quelle leccornie. Insomma è un po’ la sindrome del bambino con il naso appiccicato alla vetrina dei dolciumi…
Come influenza la ristorazione questo continuo parlare di cibo, questo condividere compulsivo di piatti, di Food Selfie, di ricette, di benefici di una dieta vegana piuttosto che di un’altra priva di grassi?
Il Food italiano sin ora più amato all’estero che profeta in patria sta iniziando una lenta opera di crescita e di maturazione. Questo processo si declina nel recupero dell’identità culturale e sociale, ma soprattutto nella professionalizzazione degli imprenditori che il Food lo producono, lo lavorano, lo trasformano, lo somministrano.
Questi imprenditori hanno compreso che saper fare bene non è più sufficiente: non basta l’artigianalità più o meno artistica, occorre saper raccontare la storia di quello che facciamo che è anche la storia di una terra, della sua bellezza e della sua gente. Occorre saper tramutare il cibo in comunicazione, in marketing e la propria impresa in un Brand. Soprattutto, occorre saper innovare.
Che differenza c’è tra giornalista enogastronomico, food blogger e food marketer?
Come sempre sostengo, i confini e le etichette non funzionano più come un tempo.
Attenzione: le regole ci sono o ci devono essere. Ma devono essere nuove o rinnovate. Per questo mi viene da sorridere quando ancora si parla di Blogger Vs Giornalista. Piuttosto che di informazione “neutrale” Vs “marchetta”.
È più nobile essere un giornalista che scrive editoriali su testate considerate “indipendenti” oppure lavorare in un ufficio stampa per alcuni brand dell’industria agro-alimentare?
Sono follie, non domande! Nell’era in cui si parla – e si deve parlare – di brand journalism, di native advertising e di marchi che ormai sono dei veri e propri publisher, arroccarsi su queste posizioni è giurassico.
Ne ho parlato in un intervento durante la seconda edizione del Festival del Giornalismo Alimentare, svoltosi a febbraio a Torino.
Nel mio stesso intervento, in modo apparentemente paradossale, sostenevo che nell’ambito di promozione e comunicazione alimentare abbiamo bisogno di una maggiore profilazione delle professioni e delle professionalità. A mio avviso gli ambiti di competenza sono convergenti (online/offline, comunicazione/pubblicità, brand/editori) ma le specializzazioni sempre più da raffinare (content strategist, blogger, social media specialist, community manager, adv consultant, SEO specialist, web designer, fotografo, videomaker).
La commistione di strumenti e media non implica la tuttologia, anzi! Ce lo insegna il mondo anglosassone.
Sulla definizione di giornalista enogastronomico siamo tutti d’accordo.
Il blogger gestisce un blog verticale di ricette, cucina o di un settore specifico dell’eno-gastronomia.
Il Food marketer è il consulente e progettista che segue la comunicazione di un brand del food o della ristorazione, delineandone linee strategiche, codice di stile comunicativo, piano editoriale, definendo con il cliente: target, obiettivi e metriche di analisi di risultati. Non dimentichiamoci che deve definire le linee guida del brand listening e monitoring.
Senza le regole (e le sanzioni!) imposte dalla deontologia della professione giornalistica, come si può monitorare il lavoro dei food blogger?
Questa domanda ci fa ricadere nelle maglie a cui pensavo di aver avuto scampo con la risposta precedente.
Sicuramente complice di questo stato confusionale è il fatto che le professioni del web non sono definite, catalogate e riconosciute in alcun modo nel nostro paese, tranne che per le 25 professioni che, nel 2014, IWA Italia ha stilato. Come sempre non si deve demonizzare una professione ma chi la svolge male o ne applica peggio le buone pratiche.
Inoltre sappiamo benissimo che la deontologia della professione giornalistica viene quotidianamente tradita da altrettanto non validi professionisti: pensiamo a notizie celate o relegate in posizioni illeggibili, notizie enfatizzare, dichiarazioni “stralciate”, titoli sensazionalistici e spesso fuorvianti, vere e proprie fake news (ricordiamoci che le testate giornalistiche sono luoghi nei quali spesso trovano luogo fertile e virale), fact checking sbandierato e prontamente disatteso…
Occorre piuttosto dare ai lettori degli strumenti per riconoscere, non quale professione svolgano e con quale titolo, ma piuttosto quale professionista lavora producendo contenuti di qualità e quale no!
In che modo lei tratta l’informazione alimentare? Quali sono le sue fonti e quali regole si impone?
L’informazione alimentare è delicatissima perché comprende competenze complesse (medicina, biologia, chimica, economia, tecnica gastronomica, enologia, critica, antropologia, design, marketing,…).
Produrre e trasformare cibo implica una responsabilità sociale che si travasa anche nella comunicazione. Inoltre diamo informazioni che riguardano la salute, la nutrizione, in alcuni casi la crescita degli individui. Penso sia delicato come il settore farmaceutico.
Occorre precauzione, preparazione, fonti autorevoli, consulenti specializzati a cui rivolgersi o per pareri e valutazioni oppure anche per produrre direttamente contenuti competenti e mirati. Spesso i nostri guest blogger sono medici, nutrizionisti, esperti delle cucine di cui stiamo discorrendo.
Le regole fondamentali sono: controllo-controllo-controllo di ogni risorsa che produciamo, verifica delle fonti, rispetto del lettore, stile mai aggressivo e sempre educato nei confronti di ogni visione che sia presentata in modo dialettico e propositivo.
Le è mai capitato di dover fare debunking contro qualche bufala alimentare?
Il concetto del debunking è particolarmente di moda in un’era in cui vince chi la spara più grossa (o più simpatica). La difficoltà (soprattutto nei social media) è confrontarsi con un popolo distratto, la cui attenzione si accende solo con la provocazione o con l’ironia forzata. Non seguiamo la comunicazione di brand alimentari ma di strutture alberghiere o ristorative.
Siamo comunque attenti alle fake news o al “rumore” generato per confondere le idee su certi prodotti o abitudini alimentari (pensiamo a olio di palma, OGM, alimentazione vegana…) e prendiamo sempre posizioni. Ripeto il nostro stile è dialettico e mai aggressivo. Siamo contro le provocazioni e non accettiamo quelle ricevute.
Per il ristorante la quotidiana applicazione del debunking è confrontarsi con le recensioni. E ragionare su questo tema con lo chef o il ristoratore non è uno scherzo!
Come ti sei approcciata a questo mondo?
Come accennavo, siamo partiti con l’hotellerie e ci siamo resi conto che la ristorazione avrebbe presto avuto necessità di comunicare online e di farlo molto bene.
Ora non esiste tipologia di azienda che abbia così tante opportunità, con il mobile marketing, la local search, il sistema di ordering online,… quanto la ristorazione! Pochissime aziende l’hanno compreso in Italia e quindi è realmente il momento di cavalcare questa situazione fortunata, in cui l’utenza chiede e pochissimi brand hanno capito come (e dove) rispondere.
Per aiutare i ristoratori ho scritto il libro “Ingredienti di digital marketing per la ristorazione”, insieme al collega Luca Bove. Lo abbiamo presentato in giro per l’Italia e ha riscosso un grande successo tanto che all’inizio di maggio uscirà la prima ristampa con revisioni e aggiornamenti, ovviamente.
Quali sono le sue luci e le sue ombre?
Il Food comunica moltissimo e malissimo.
In questa frase è insito il problema reale ma anche le possibilità di crescita e sviluppo in nuce di questo settore. Io continuerò a scrivere sul blog, a tenere conferenze, lezioni, webinar, a condividere notizie e suggerimenti sulle piattaforme facebook (@musecomunicazione @comunicazione nellaristorazione) e twitter (@musecom e @comristorazione)…
Consiglio ai brand di F&B e ristorazione di partecipare a eventi formativi. A tal proposito vi invito a Cibiamoci Festival 16 maggio a Pistoia con una giornata divisa in 3 sessioni e 18 relatori che vi stupiranno sulle possibilità digitali del vostro marchio!
Consiglio ai giornalisti di studiare digital marketing. E ai food blogger e food marketer di studiare giornalismo!
Come pensa si evolverà questo mondo?
Sul futuro della comunicazione digitale e non legata al mondo alimentare potremmo parlare ancora per ore. Dico soltanto che tutto si muove molto veloce e più i brand e i media (e i professionisti che ne fanno narrazione) stanno fermi, più difficile sarà raggiungere lo stesso ritmo e respiro dei nostri lettori.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Voglio continuare a raccontare, trasmettere e condividere conoscenza ed esperienze. Sperando di raggiungere sempre più interlocutori con i quali confrontarmi.
Continuerò con gli eventi (come vi dicevo sarò relatore, responsabile e moderatore della sessione Restaurant di Cibiamoci Festival). Vorrei sempre più svolgere docenze: la formazione è la chiave di volta per cambiare il futuro, partendo da noi stessi!
Grazie, Nicoletta, e buon lavoro!