“Mens sana in corpore sano” ci ha insegnato tanti secoli fa il poeta latino Giovenale… ma quanto c’è di scientifico in quello che è ormai un detto popolare diffuso in tutto il mondo?
È stato dimostrato come l’attività fisica apporti benefici alla struttura e al funzionamento del cervello, in particolare nelle persone che si dirigono verso la vecchiaia. Tuttavia, i meccanismi attraverso i quali l’esercizio fisico agisce, specialmente negli esseri umani, non sono ancora completamente chiari. Una delle ragioni di questa lacuna e mancanza di chiarezza è che l’esercizio fisico probabilmente opera su almeno tre livelli, e utilizzando meccanismi diversi (Stillman et al., 2020). Inoltre, questi meccanismi possono variare anche a causa di fattori quali l’età e lo stato di salute generale (ibidem).
I tre livelli che prenderò qui in considerazione, e che hanno preso in considerazione prima di me Stillman e collaboratori (2020), sono:
- il livello cellulare e molecolare,
- il livello della struttura e il funzionamento del cervello, e
- il livello psicosociale.
A) Meccanismi cellulari e molecolari dell’esercizio fisico
A livello molecolare, l’esercizio aerobico (cioè un’attività a bassa intensità e lunga durata in cui la respirazione e l’ossigeno hanno un ruolo chiave) induce cambiamenti biochimici significativi nel cervello degli animali (Cotman et al., 2007; Van Praag, 2009; Van Praag, 2009).
Alcune delle molecole più studiate nei modelli animali e nell’uomo sono i cosiddetti fattori di crescita, proteine che stimolano proliferazione e differenziamento delle cellule, e che ne prevengono la morte.
Quelli più studiati sono:
- il fattore neurotrofico cerebrale (Brain-Derived Neurotrophic Factor, BDNF), che avvia una serie di effetti tra cui il potenziamento a lungo termine, cioè un aumento dell’efficacia di alcune sinapsi cerebrali, e la proliferazione dei neuroni.
Sono stati riscontrati aumenti del BDNF dopo l’esercizio a lungo termine in bambini, adolescenti, giovani adulti e anziani, e in pazienti con malattia di Alzheimer e disturbi psichiatrici, nonostante vi sia una certa incoerenza nei risultati tra i vari studi (Mackay et al., 2017; Voss et al., 2013).
Inoltre, i livelli di BDNF in circolo negli esseri umani mediano i miglioramenti legati all’esercizio fisico nelle funzioni esecutive (un complesso di abilità cognitive che guidano l’adattamento all’ambiente e il comportamento finalizzato) negli adulti di età superiore ai 71 anni (Leckie et al., 2014);
- Il fattore di crescita endoteliale vascolare (Vascular Endothelial Growth Factor, VEGF), che supporta la sopravvivenza e la crescita dei vasi sanguigni (anche nel cervello).
Purtroppo le evidenze sperimentali di un collegamento fra il VEGF e l’esercizio fisico nell’uomo sono ancora limitate;
- Il fattore di crescita insulino-simile (Insuline-like Growth Factor, IGF-1), il quale influenza diversi processi neurali e angiogenici (ovvero quei processi che portano alla formazione di nuovi vasi sanguigni) (Cotman et al., 2007).
Ci sono prove che i livelli di IGF-1 negli anziani aumentano dopo l’esercizio fisico, sebbene questo effetto sia incoerente tra i diversi studi.
Una delle principali questioni aperte è se l’esercizio influenzi i livelli di IGF-1 nel corso della vita, poiché mancano studi in cui vengano presi in considerazione gruppi di età diverse dagli anziani.
B) Struttura e funzionamento del cervello
Considerando la struttura cerebrale, possiamo dividere i risultati ottenuti in ricerca in due tipologie:
- Effetti dell’esercizio fisico sulla SOSTANZA GRIGIA, ovvero l’insieme dei corpi cellulari (cioè la parte centrale) dei neuroni.
Sembra che l’allenamento prevenga la riduzione di volume dell’ippocampo, un area cerebrale sottocorticale importante per l’orientamento spaziale e la memoria.
Risultati meno consistenti, inoltre, mettono in luce possibili variazioni di volume esercizio-correlate della sostanza grigia che compone la corteccia cerebrale (cioè la parte più superficiale del cervello), soprattutto in regioni frontali, parietali e temporali (Batouli et al., 2017; Esteban-Cornejo et al., 2018);
- Effetti dell’esercizio fisico sulla SOSTANZA BIANCA, cioè l’insieme delle fibre che connettono i neuroni fra loro.
Sembra che l’allenamento, soprattutto la danza (Burzynska et al., 2017) e gli sport di resistenza (Suo et al., 2016), aumentino il volume generale della sostanza bianca, e portino a una riduzione volumetrica delle sue lesioni fisiologiche dovute all’invecchiamento (Stillman et al., 2020).
È stato inoltre evidenziato come, nello specifico, l’attività fisica migliori le connessioni cerebrali negli adolescenti (Valkenborghs et al., 2019).
Riguardo al funzionamento cerebrale, i risultati sono spesso in contrasto fra loro.
In uno studio che utilizza l’elettroencefalografia (EEG), una tecnica per misurare l’attività elettrica del cervello dallo scalpo, è stata dimostrata negli anziani una diminuzione della latenza di P3b, una componente del potenziale elettrico suscitata da eventi esterni, dopo l’allenamento, e questa latenza è collegata a una migliore prestazione cognitiva (Kao et al., 2020).
Nei bambini invece, la corteccia parietale mostra costantemente una ridotta attivazione durante l’esecuzione di compiti che comportano miglioramenti cognitivi (Valkenborghs et al., 2019). Ciò indicherebbe che l’esercizio fisico migliora l’efficienza neurale durante l’infanzia. Inoltre, sempre nei bambini, il miglioramento delle prestazioni cognitive dopo l’esercizio sarebbe legato a latenze P3b più brevi (come abbiamo visto per gli anziani) e con ampiezze d’onda più grandi (Kao et al., 2020).
Nonostante questa similitudine fra bambini e anziani, bisogna considerare che i meccanismi funzionali legati all’esercizio fisico potrebbero differire in base all’età, considerando per esempio il fatto che il cervello dei bambini è immaturo rispetto a quello degli adulti, e che quello degli anziani potrebbe essere compromesso dall’invecchiamento.
Questo influenza le connessioni funzionali (cioè l’interazione fra varie regioni del cervello durante specifici processi cognitivi), che con più probabilità vengono modificate dall’esercizio fisico nelle popolazioni più giovani.
Bisogna tenere in considerazione che, molto probabilmente, queste modifiche strutturali e funzionali del sistema nervoso legate all’allenamento sono connesse con i meccanismi cellulari e molecolari di cui abbiamo parlato prima, rendendo ancora più complessa l’interpretazione dei diversi risultati ottenuti.
C) Meccanismi psicosociali
Per meccanismi psicosociali si intendono gli stati mentali e i comportamenti che possono essere influenzati dall’esercizio fisico, e quindi contribuire ad alcuni dei suoi effetti salutari sul cervello. Questo tipo di meccanismi interessano soprattutto due macroaree: l’umore (cioè i nostri stati d’animo persistenti) e il sonno.
- L’umore, in particolare la sintomatologia depressiva, risulta essere influenzato dall’esercizio (Stillman et al., 2016).
Livelli più elevati di attività fisica, infatti, sono associati a livelli più bassi di sintomi depressivi nei bambini e negli adolescenti tra i 5 e i 17 anni (Biddle & Asare, 2011; Poitras et al., 2016), così come negli anziani (Loprinzi, 2013).
Sembra quindi che l’esercizio sia un trattamento efficace per la riduzione dei sintomi della depressione negli adolescenti, nei giovani adulti e negli anziani con disturbi depressivi o psichiatrici (Ashdown-Franks et al., 2020).
Inoltre, l’esercizio migliora contemporaneamente i sintomi cognitivi tipici di questi disturbi, e ci sono prove che ciò avvenga attraverso cambiamenti molecolari e strutturali del cervello (ibidem).
- Il sonno è un altro meccanismo psicosociale influenzato dall’esercizio.
L’effetto riposante e la durata del sonno, generalmente, migliorano negli adulti di mezza età e più anziani in seguito ad attività fisica (Dolezal et al., 2017; Vanderlinden et al., 2020), ma non ci sono simili evidenze scientifiche per bambini, adolescenti e giovani adulti.
Ciò è potenzialmente attribuibile alla metodologia eterogenea e alla qualità degli studi (Dolezal et al., 2017).
Nelle popolazioni di pazienti adulti con disturbi del sonno come apnee notturne e insonnia, l’allenamento fisico ha un impatto positivo, migliorando la loro qualità del sonno (Lins-Filho et al., 2020; Yang et al., 2012).
Il sonno è anche noto per avere effetti riparatori sulle regioni del cervello particolarmente sensibili all’esercizio fisico, come la corteccia prefrontale e l’ippocampo (Krause et al., 2017).
Tanta attività fisica è quindi sufficiente per stare bene?
Questa domanda, per tutti i lettori di Mangio Bene Vivo Bene, risulterà quasi retorica: senza un’alimentazione bilanciata e salutare, l’esercizio fisico ha infatti ben pochi effetti, tanto sulla nostra linea quanto sul nostro cervello.
È quindi essenziale fare proprio uno stile di vita che sia caratterizzato da sane abitudini alimentari e regolare attività fisica.
Non fraintendetemi però! Non vi direi mai di andare a correre la sera del 24 dicembre e di privarvi del panettone!
Ritornando al latino, ricordiamoci sempre che “in medio stat virtus”!
Adriano Acciarino,
Psicologo e Ph.D. in Psicologia e Neuroscienze Sociali,
Professore a contratto di Pedagogia Generale e Sociale
BIBLIOGRAFIA
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