Il peperoncino fa bene o fa male al cervello?

Il peperoncino fa bene o fa male al cervello?

Quando si va un po’ di fretta ma si vuole mangiar bene, cosa c’è di meglio di un bel piatto di spaghetti “ajo, ojo e peperoncino”? Da romano, non posso che rispondervi che non c’è niente di meglio!
In questo articolo voglio raccontarvi degli effetti che uno dei tre ingredienti di questo piatto, a mio avviso quello che fa più gola, ha sul nostro sistema nervoso: il peperoncino.

Perché il peperoncino “pizzica”?

Il peperoncino è una bacca che si sviluppa sulle piante del genere capsicum (dal latino capsa, cioè “scatola”, perché la bacca è un vero e proprio contenitore di semi), della famiglia delle solanaceae, di cui fa parte anche il peperone. Come sappiamo però, a differenza del peperoncino quest’ultimo non è piccante perché non contiene una sostanza che è alla base della piccantezza dei peperoncini: la capsaicina.

La capsaicina (formula chimica C18H27NO3) è un composto chimico percepito come irritante da tutti i mammiferi, il quale produce una sensazione di bruciore al contatto con i tessuti organici, legandosi con i recettori TRPV1 (Transient Receptor Potential Vanilloid 1, presenti anche sulla lingua).

Il contenuto di capsaicina varia a seconda della varietà dei peperoncini presi in considerazione, ed è per questo che alcuni risultano più piccanti di altri. La piccantezza di una specifica varietà di peperoncino viene valutata tramite la Scala di Scoville, sviluppata da Wilbur Scoville nel 1912, che misura proprio la quantità di capsaicina contenuta nella bacca. Considerando che 16 unità di Scoville equivalgono a una parte di capsaicina, la scala va da 0 Scoville (il peperone dolce) fino ad addirittura 16 miliardi di Scoville (picco raggiunto dalla resiniferatossina, una sostanza che si trova in un cactus africano)!

Una simpatica curiosità “scientifica:” la capsaicina dei peperoncini, proprio per questo suo potere urticante, da diversi anni viene utilizzata per stimolare i recettori del dolore in diverse parti del corpo e per indurre colpi di tosse e studiare i meccanismi di risposta dell’organismo (Sharma et al., 2013).

 

Gli effetti positivi del peperoncino

Sono ormai ben noti gli effetti benefici che il peperoncino ha sul nostro organismo in generale: protegge il sistema cardiovascolare rafforzando i vasi sanguigni (grazie alla presenza di grassi insaturi), è un ottimo antiossidante (grazie alle molte vitamine che contiene), difende dalle infezioni (specificamente grazie alla vitamina C). Inoltre, la presenza di vitamina E nei peperoncini sembra possa favorire le funzioni sessuali (per questo spesso si parla del peperoncino come di un cibo afrodisiaco).

Concentrandoci sulla capsaicina, che assieme alla diidrocapsaicina è l’alcaloide responsabile della piccantezza, questa fornisce al peperoncino proprietà antinfiammatorie e favorisce la digestione (anche se in bambini sotto i 12 anni di età viene sconsigliata una regolare assunzione di peperoncino perché il loro apparato digerente è ancora in via di sviluppo).

 

Gli effetti del peperoncino sul cervello umano

A livello cerebrale, è da tempo noto come i recettori TRPV1 siano implicati nella percezione ed elaborazione di stimoli dolorosi e caldi (Yoshioka et al., 1998), ma è anche noto come la capsaicina sia in grado di indurre una riduzione del peso corporeo a prescindere dalla quantità di grassi presenti nella dieta di un individuo, questo grazie all’attivazione di questi recettori i quali, a loro volta, attivano le catecolamine (sostanze prodotte dall’organismo per preparare il corpo all’attività fisica) a livello del midollo cerebrale (Akabori et al., 2007).

Il progetto di studio epidemiologico “Moli-sani” (Bonaccio et al., 2019), effettuato su un totale di 22.811 volontari residenti in Molise, ha evidenziato come il consumo regolare di peperoncino, a prescindere dal tipo di dieta, sia associato a un minor rischio di morte in generale (oltre che nello specifico di morte dovuta a disturbi cardiovascolari). Nello specifico, si è calcolata una riduzione della mortalità generale del 23%, del 40% della morte per infarto e del 60% per ictus.

Finora si direbbe che mangiare piccante potrebbe essere una panacea per tutti i mali, ma purtroppo come spesso accade c’è un rovescio di questa medaglia. Shi e collaboratori (2019), con uno studio longitudinale (cioè di lunga durata, per osservare effetti prolungati) della durata di ben 15 anni (dal 1991 al 2006), hanno evidenziato come un consumo regolare di peperoncino oltre i 50 g al giorno sia legato a un declino delle funzioni cognitive. Nello specifico, sembrano essere i processi di memoria a essere intaccati, e pare che questo effetto sia più marcato per individui con basso indice di massa corporea (Body Mass Index, BMI), cioè persone più magre, rispetto a persone con BMI maggiore (Shi et al., 2019).

In conclusone, come spesso mi ritrovo a scrivere alla fine dei miei articoli, ciò che conta è il dosaggio. Per poter giovare dei tanti benefici che il peperoncino può darci (tra i quali soddisfare il nostro gusto), l’importante è non esagerare e, nello specifico, non superare i 50 g giornalieri di assunzione per lunghi periodi. In questo modo potremo goderci tutti la nostra bella spaghettata “ajo, ojo e peperoncino” in totale tranquillità!

Adriano Acciarino,
Psicologo e Ph.D. in Psicologia e Neuroscienze Sociali,
Professore a contratto di Pedagogia e Psicologia Sociale

 

BIBLIOGRAFIA

  • Akabori, H., Yamamoto, H., Tsuchihashi, H., Mori, T., Fujino, K., Shimizu, T., … & Tani, T. (2007). Transient receptor potential vanilloid 1 antagonist, capsazepine, improves survival in a rat hemorrhagic shock model. Annals of surgery, 245(6), 964.
  • Bonaccio, M., Di Castelnuovo, A., Costanzo, S., Ruggiero, E., De Curtis, A., Persichillo, M., … & de Gaetano, G. (2019). Chili pepper consumption and mortality in Italian adults. Journal of the American College of Cardiology, 74(25), 3139-3149.
  • Sharma, S. K., Vij, A. S., & Sharma, M. (2013). Mechanisms and clinical uses of capsaicin. European journal of pharmacology, 720(1-3), 55-62.
  • Shi, Z., El-Obeid, T., Riley, M., Li, M., Page, A., & Liu, J. (2019). High chili intake and cognitive function among 4582 adults: an open cohort study over 15 years. Nutrients, 11(5), 1183.
  • Yoshioka, M., St-Pierre, S., Suzuki, M., & Tremblay, A. (1998). Effects of red pepper added to high-fat and high-carbohydrate meals on energy metabolism and substrate utilization in Japanese women. British Journal of Nutrition, 80(6), 503-510.

Autore dell'articolo: Redazione