Il Business della paura: quanto bisogna preoccuparsi del cibo e quanta informazione-spazzatura viene prodotta sulla sicurezza alimentare?

Editoriale di Arianna Acciarino – Direttore editoriale di mangiobenevivobene.it

Mangiare fa paura?
Sembrerebbe di si: 9 italiani su 10 si dichiarano infatti molto preoccupati per quello che mettono nel piatto.
Una percentuale (l’86%) che supera di ben 7 punti quella della media europea, stando al sondaggio che l’Efsa (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) ha commissionato nel 2010 a Eurobaromentro sui “Rischi associati agli alimenti”, realizzato su un campione di ben 26.691 persone, dai 15 anni un su, provenienti da tutti i 27 Stati membri.
Confrontando il sondaggio del 2010 con il precedente del 2005 risulta chiaramente che in nessun Paese della Comunità Europea la situazione è migliorata ma, anzi, si è registrato un aumento della paura diffuso e generale.

La preoccupazione riguardante la presenza di residui di prodotti chimici, pesticidi e sostanze tossiche nel 2010 era in vetta alla classifica e passava,dal 14% del 2005 al 19%.
I timori legati alla scarsa freschezza dei cibi salivano dal 6% al 9% e quelli legati agli additivi alimentari, ai coloranti e ai conservanti passavano dal 7% al 9%.
A preoccupare gli europei si aggiungevano la difficile tracciabilità degli alimenti, le allergie e i rischi ambientali.

Gli italiani si posizionavano sopra la media europea in tutte le sezioni del questionario: i pesticidi preoccupavano l’85% degli italiani contro il 72% della media comunitaria e la freschezza dei cibi era un pensiero per l’82% dei nostri connazionali, contro il 68% degli altri Paesi.

La sfiducia degli italiani toccava i vertici riguardo medici di famiglia e altri operatori sanitari, con un gravissimo 23% di rispondenti che non si fidavano, rispetto a una media del 14%.
Peggio è andata solo al Governo: se già in Europa solo 1 cittadino su 2 credeva alle informazioni date dalle Istituzioni nazionali in fatto di sicurezza, in Italia era il 52% degli intervistati a non avere assolutamente fiducia.

Eppure l’Italia è ai vertici della sicurezza alimentare e vanta su moltissimi cibi un residuo chimico che non supera lo 0,5%.
La filiera dei controlli è serrata, le regole stringenti, la qualità dei prodotti d’eccellenza DOP, IGP e STG è riconosciuta in tutto il mondo e, in caso di crisi sanitaria, la risposta è rapida ed efficace.
Allora perché si registrano proprio nel Bel Paese percentuali così alte di paura e sfiducia che, di certo, negli ultimi 6 anni non saranno diminuite?

Sicuramente gli italiani – come ha dichiarato in una nostra intervista il dottor Manfredini, Responsabile Qualità per Coldiretti – “hanno posto al centro della propria vita la sana alimentazione”, per questo sono consumatori più attenti e consapevoli.
Di certo però c’è un cortocircuito nella comunicazione tra uomini di scienza, medici, mass media e utenti che genera un senso diffuso di diffidenza e la percezione di un pericolo che, nella realtà, è drasticamente inferiore a quello percepito.

Continui allarmi e allarmismi sui mass media e sui social network trasmettono ogni giorno l’impressione che non ci sia più un solo alimento ancora salubre sul pianeta: zucchero, carni rosse, olio di palma, coloranti, pesticidi, ogm… diventano tutti spauracchi sfruttati ad arte da chi sopravvive a suon di click e da chi sulla nutrizione ha costruito un business.

Un recente ed emblematico esempio dell’informazione superficiale è il caso delle carni rosse e dell’erronea interpretazione che i media, hanno fatto di una serie di dati raccolti da un gruppo di ricercatori, presentati, tra l’altro, troppo presto e senza una relazione ponderata dall’Oms.
La lettura dei dati epidemiologici non è sempre facile e chi fa ricerca deve sforzarsi di costruire canali di comunicazione efficaci e sempre raggiungibili tra ricercatore e mass media.

Ma quindi, possiamo fidarci delle notizie sulla sicurezza alimentare pubblicate sui giornali, su internet e sui social?
Certamente la stragrande maggioranza dei giornalisti e dei blogger non è in cattiva fede, purtroppo però capita che la notizia arrivi loro già distorta e che, per la fretta di “non bucare la notizia”, non trovino il tempo per verificare le fonti.
La cassa di risonanza del web allunga di molto la vita di ogni notizia e spesso non si riesce a diffondere con la stressa forza le rettifiche o i cessati allarmi.

Ma se dalla velocità e onnipresenza della Rete arriva il problema, è sempre dalla Rete che arrivano le soluzioni: la connessione globale rende molto più facile sia per il semplice lettore che per il giornalista più scrupoloso raggiungere le fonti originarie di una notizia per verificarla.
La Rete ha reso più facile anche rintracciare i ricercatori autori di un determinato studio o intervistare l’esperto dall’altra parte del pianeta.

Su questo si fonda il lavoro dei due autori del sito Bufale.net, David Puente e Claudio Michelizza, che da anni si occupano di “smascherare le bufale” che girano sul web.
Tra gli esempi che hanno portato al primo Festival del Giornalismo Alimentare (Torino, 23-25 febbraio 2016 ), molto famosa è la notizia del falso topo nei Mc Nuggets diffusa persino dall’Huffington Post.

Lo stesso obiettivo si pone il Comitato Mangio Bene Vivo Bene con questa testata giornalistica, che vuole essere un punto di riferimento per tutti i cittadini che si interessano a quello che mettono nel proprio piatti e nume tutelare della Dieta Mediterranea e delle nostre produzioni d’eccellenza…. buon appetito, allora, con serenità!

Autore dell'articolo: Redazione