Dossier cibi ultraprocessati: le ricerche sugli effetti sull'obesità

Dossier cibi ultraprocessati: le ricerche sugli effetti sull’obesità

In un precedente articolo (che puoi leggere qui) abbiamo presentato i cibi “ultraprocessati”, così definiti all’inizio del nuovo millennio dal professor Monteiro, docente di Nutrizione e Salute Pubblica e direttore del Centro di Studi Epidemiologici su Salute e Nutrizione dell’Università di San Paolo in Brasile.

 

Alimenti ultraprocessati e obesità: il nesso individuato da Monteiro

Monteiro rilevò – a partire dagli anni Ottanta – un costante aumento dei casi di sovrappeso, obesità, diabete e problemi cardiocircolatori nella popolazione brasiliana e individuò, tra le cause, proprio la diffusione di questi cibi ultraprocessati, che erano riusciti a rimpiazzare in moltissime case i piatti tradizionali preparati in casa.

Alla pubblicazione delle sue ricerche il settore dell’alimentazione si divise tra chi concordava con il nesso di causa-effetto individuato da Monteiro e chi dissentiva.

Tra questi, il professor Kevin Hall, ricercatore statunitense esperto in nutrizione e metabolismo presso il National Institutes of Health | NIH · National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases (NIDDK).

Per Hall non c’erano sufficienti dati empirici che dimostrassero le tesi di Monteiro e, soprattutto, venivano messe in secondo piano molte altre concause (ceto economico, tipo di lavoro, grado di consapevolezza sulle questioni nutrizionali…) che incidevano parimenti sulla salute alimentare.

Servivano più dati, che confermassero o contraddicessero definitivamente la tesi di Monteiro e così, con il suo team, organizzò nel 2018 uno studio controllato randomizzato sulle diete ad alto contenuto di cibi ultraprocessati.

 

L’esperimento di Kevin Hall sugli effetti di una dieta ricca di alimenti ultraprocessati

Per “verificare sul campo” i possibili effetti di una dieta ricca di prodotti ultra-raffinati, Hall e il suo team di ricercatori organizzarono nel 2018 uno studio lungo un mese presso il National Institutes of Health, coinvolgendo 20 persone, equamente suddivise tra uomini e donne, da suddividere in due gruppi da 10: al primo somministrarono una dieta composta prevalentemente da cibi ultraprocessati, al secondo, invece, una dieta con alimenti poco o per nulla lavorati.

Ricoverati, i partecipanti al test non hanno potuto mangiare nulla che non fosse stato deciso dai ricercatori e hanno indossato tutti abiti larghi, in modo da non notare eccessivamente eventuali cambiamenti della propria massa corporea durante le 4 settimane di test.
Le diete sono state entrambe realizzate cercando di progettare pasti gradevoli e “familiari” per i soggetti sperimentali.

Ad esempio, la prima colazione del gruppo della dieta ricca di ultraprocessati consistette in: cereali al miele, latte intero e muffin ai mirtilli. Quella della dieta ricca in alimenti poco o per nulla lavorati fu: yogurt greco con noci, fragole e banane.

Entrambi i gruppi ricevevano 3 pasti al giorno, da consumare in un’ora.

Il costo settimanale dei due regimi alimentari, entrambi tarati sulle 2000 kcal al giorno, si aggirava sui 106 dollari nel caso della dieta con molti alimenti ultraprocessiati e sui 151 dollari per la dieta ricca di non-processati.

Le diete sono stare realizzate bilanciando il più possibile le quantità di calorie, zuccheri, proteine, grassi e fibre. Proprio per compensare lo scarsissimo apporto di fibre della dieta con alimenti ultraprocessati, è stata aggiunta alla loro dieta una limonata dietetica arricchita da fibra solubile, da bere durante i pasti.

 

I risultati dello studio controllato randomizzato di Hall

I risultati, pubblicati successivamente sulla rivista Cell Metabolism, hanno sorpreso lo stesso Hall: i soggetti a cui è stata somministrata la dieta ricca di cibi ultraprocessati avevano mediamente guadagnato un chilo di peso (molto, considerando che si è trattato di un solo mese di dieta).

L’aumento di peso era dipeso prima di tutto da un eccesso di alimentazione, infatti, i soggetti testati avevano mediamente ingerito 500 kcal in più ogni giorno rispetto all’altro gruppo, perché il senso di sazietà arrivava più tardi.
Dalle analisi del sangue è risultato infatti che gli ormoni responsabili del senso di fame si attestavano infatti su livelli più elevati.

La conclusione alla quale è arrivato Hall è che effettivamente una dieta ricca di cibi ultraprocessati provoca aumento di peso, a prescindere al contenuto di zuccheri di quegli alimenti.
Molto probabilmente questo aumento di peso dipende dalla forte sapidità e dalla consistenza morbida e facile da assimilare di questi alimenti, che inducono a mangiare di più e più velocemente.

Questo studio ha dunque confermato la tesi di Monteiro e apre ora le porte a nuove ricerche che possano analizzare quali effetti avrebbero eventuali modificazioni dell’appetibilità o della composizione dei cibi ultraprocessati, ma anche studi sociali, economici e politici che si interessino dei fattori economico-sociali e di tempo-lavoro che portano le fasce più povere della popolazione a prediligere determinati cibi pronti ed economici rispetto ad altri più sani ma costosi.

 

Nel prossimo articolo vi presenteremo nel dettaglio la classificazione “Nova” degli alimenti, una lista i cibi ultraprocessati e i consigli che Monteiro e il suo team danno per migliorare la propria dieta quotidiana.

 

Autore dell'articolo: Redazione