Abbiamo già parlato (in questo articolo) del “cervello” che abbiamo nella pancia.
Nel raccontarvelo ho anche fatto riferimento a un elemento su cui non mi sono soffermato troppo: il Microbiota intestinale.
Parlandovene, l’ho definito brevemente come l’insieme di microorganismi simbiontici che convivono all’interno del nostro intestino, ma direi che è arrivato il momento di metterlo sotto i riflettori e presentarvelo come una star!
Cos’è il Microbiota?
“Microbiota” è un termine che fa riferimento in generale a una popolazione di microrganismi (ovvero microbi) che colonizza un determinato luogo (come, ad esempio, diverse parti del nostro corpo).
Nel caso del microbiota intestinale, come intuibile, si parla di tutti quei microorganismi presenti nell’intestino umano.
È un insieme variegato di organismi “simbiontici”, cioè che vivono obbligatoriamente in rapporto con altri organismi viventi.
Il microbiota intestinale è comunemente noto anche come “flora batterica”, ma in realtà questa definizione è abbastanza impropria, perché è composto principalmente da batteri (ma non solo), mentre invece il termine “flora” si riferisce solitamente ai vegetali. Come mai allora questa definizione? In passato, i batteri venivano erroneamente classificati come vegetali, di conseguenza i batteri nell’intestino non potevano che essere, appunto, flora.
La differenza tra microbioma e microbiota e la loro unicità in ognuno di noi
Spesso viene utilizzato il termine “microbioma” quasi come sinonimo di microbiota, ma in realtà ha un significato diverso: fa riferimento in modo più specifico al patrimonio genetico del microbiota.
Una curiosità affascinante: il numero dei geni totali del microbiota è di circa 100 volte maggiore rispetto al genoma umano (Junjie Qin et al., 2009), e ogni individuo ha un microbiota (e di conseguenza microbioma) unico.
È stato dimostrato però come un piccolo numero di specie sia condiviso da tutti, costituendo il nucleo filogenetico (cioè il nucleo da cui si sono ramificate tutte le linee di discendenza) del microbiota intestinale umano (Tap et al., 2009).
Il microbiota “parla” con il cervello della nostra pancia
Come già detto, il nostro intestino è principalmente abitato da batteri, che sono microrganismi unicellulari procarioti (cioè dei microbi formati da una sola cellula che, al suo interno, non ha barriere cellulari, nemmeno per contenerne il nucleo), ma possiamo trovarvi anche miceti (ovvero funghi) e virus.
Questa comunità microbica ha importanti funzioni metaboliche e fisiologiche per l’ospite, e contribuisce alla sua omeostasi (cioè al mantenimento dei suoi equilibri fisiologici) durante tutta la vita.
Vi starete chiedendo quale sia la relazione fra questa ‘folla’ di piccoli organismi nella nostra pancia e il sistema nervoso? Beh, una relazione c’è, eccome!
Nel precedente articolo ho fatto riferimento all’ “asse intestino-cervello” (Gut-Brain Axis, GBA), una comunicazione bidirezionale tra il sistema nervoso centrale (CNS) e il sistema nervoso enterico (ENS) che collega i centri emozionali e cognitivi del nostro cervello con le funzioni intestinali periferiche (Rhee et al., 2009).
Il microbiota intestinale ha un impatto importante sul GBA, interagendo non solo localmente con le cellule intestinali, ma anche direttamente col sistema nervoso centrale attraverso le vie neuroendocrine (cioè le vie di rilascio di ormoni da parte di neuroni) e metaboliche.
Quasi trent’anni fa, fu osservato come la somministrazione di antibiotici per via orale migliorasse la condizione di pazienti con encefalopatia epatica (una condizione in cui l’incapacità del fegato di smaltire le sostanze tossiche porta a problematiche cerebrali) (Morgan, 1991).
Inoltre, il microbiota intestinale è stato messo in relazione con l’ansia e i comportamenti depressivi (Foster & McVey Neufeld, 2013; Naseribafrouei et al., 2014; Carabotti et al., 2015), e addirittura con l’autismo.
Infatti, i pazienti affetti da questa condizione neurologica presentano, in base alla gravità della patologia, alterazioni specifiche del microbiota (Mayer et al., 2014; Song et al., 2004).
La disbiosi intestinale (cioè uno squilibrio dei microbi) può essere fortemente associata inoltre ai disturbi dell’umore e, nello specifico, all’interruzione del GBA (Simrén et al., 2013; Mayer & Tillisch, 2011; Berrill et al., 2013).
È stato dimostrato un ruolo chiave della colonizzazione batterica dell’intestino non solo nello sviluppo del sistema nervoso enterico, ma anche in quello del sistema nervoso centrale (Barbara et al., 2005; Stilling et al., 2014), soprattutto a livello dei neurotrasmettitori, cioè quelle sostanze che permettono alle informazioni di essere veicolate all’interno del nostro cervello (Barbara et al., 2005; Clarke et al., 2013; Diaz Heijtz et al., 2011).
Studi condotti su animali senza microbiota intestinale (Neufeld et al., 2011; Sudo et al., 2004) hanno dimostrato l’impatto di quest’ultimo sull’ansia e sulla risposta allo stress: questi animali presentavano infatti una riduzione dell’ansia e un aumento di rilascio degli ormoni dello stress (il cortisolo e l’ACTH).
Mantenere in salute l’intestino per preservare la nostra mente
Vista la sua importanza, esiste qualche modo per proteggere questi microscopici inquilini all’interno del nostro intestino? Certo che sì, ed è la nostra dieta!
Infatti, nonostante la composizione del nostro microbiota sia in parte genetica e legata all’esposizione a determinati microorganismi al momento della nostra nascita, è forte anche l’influenza dell’ambiente e dello stato di salute in generale.
Una dieta sana, in questo modo, risulta essere il fattore modificabile (perché ovviamente i nostri geni e il modo in cui siamo nati non possono essere modificati) più importante per mantenere il nostro microbiota intestinale, e di conseguenza il nostro cervello, in salute (Sandhu et al., 2017).
Adriano Acciarino,
Psicologo e Ph.D. in Psicologia e Neuroscienze Sociali,
Professore a contratto di Pedagogia e Psicologia Sociale
BIBLIOGRAFIA
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