Un articolo della giornalista alimentare e scrittrice Bee Wilson, apparso a febbraio sul The Guardian (puoi leggerlo a questo link) e tradotto in Italia da Internazionale, ha riportato alla ribalta la questione dei cibi troppo raffinati e del loro impatto sulla nostra salute.
Complice il successivo periodo di lockdown, la voglia di cucinare prodotti fatti in casa ma anche quella di coccolarsi con qualche sfizioso “cibo spazzatura”, la questione di quale sia la corretta alimentazione e se ci siano dei cibi che dovremmo eliminare dalla nostra dieta è rimasta – giustamente – preponderante per tutto l’anno.
Ma, esattamente, di quali alimenti stiamo parlando? Quando sono entrati in commercio e quali sono i loro valori nutrizionali? Dobbiamo davvero evitarli?
Per fare chiarezza su tutti questi punti, partiamo oggi con il primo di una serie di 4 articoli sul tema, iniziando dalla loro definizione e dai primi studi sulla loro salubrità.
Alimenti “ultra-raffinati”: quali sono?
I cibi ultra-processati, detti anche ultra-trasformati sono ben lontani dall’includere solo i classici e riconoscibili “cibi-spazzatura”.
Sono infatti tutti quegli alimenti – dalle patatine fritte confezionate alla vellutata di zucchine pronta in 5 minuti – a basso contenuto di nutrienti e fibre, ma ricchi in sale, oli, zuccheri e additivi.
Sono dunque tantissimi e di varia categoria, dal dolce al salato, dal pane in cassetta alle merendine, accomunati dal fatto di essere stati “trasformati” più volte e dall’avere spesso al loro interno, tra gli ingredienti, altri prodotti raffinati come gli oli vegetali, il siero del latte o gli additivi industriali, oltre ad un’eccessiva percentuale di sale, zuccheri e grassi.
Da dove arriva il termine ultraprocessati?
Il termine”ultra-processed food” (Upf) è stato coniato dal professor Carlos Monteiro, docente di Nutrizione e Salute Pubblica presso l’Università di San Paolo in Brasile e direttore del Centro di Studi Epidemiologici su Salute e Nutrizione della stessa università nei primi anni Duemila.
Durante le sue ricerche, incentrate sulla rivelazione e sull’analisi delle abitudini alimentari del Paese, Monteiro si era reso conto di un paradosso: negli ultimi vent’anni i brasiliani avevano comprato sempre meno zucchero ma i casi di diabete di tipo 2 e di obesità avevano continuato a crescere.
Cos’era successo? Era aumentata esponenzialmente, nelle credenze e nei frigoriferi, la presenza di cibi pronti confezionati.
Le merendine, le bibite gassate, gli snack fritti e super salati avevano preso il posto dei piatti della cucina tradizionale brasiliana in moltissime case, aiutati dal fatto di essere estremamente economici e veloci da preparare.
La frenesia della vita moderna e le disparità economiche, assieme al potere persuasivo delle pubblicità, erano tutte concause.
Indubbiamente, l’assenza di questi cibi dalle “piramidi alimentari” (la prima era stata ideata negli Usa nel 1996) non aveva di certo aiutato le famiglie a comprendere cosa stessero mangiando e in quali quantità e questo aveva provocato un impoverimento della qualità della loro dieta, soprattutto dal punto di vista dei micronutrienti e delle fibre.
Il “Sistema Nova” di Monteiro per la classificazione degli alimenti
Per ovviare a quelle che considerava le carenze delle classiche piramidi alimentari e delle vecchie linee guida nutrizionali, nel 2016 Monteiro e la sua equipe pubblicarono una nuova classificazione del cibo che chiamò NOVA.
Il sistema Nova suddivide gli alimenti in 4 gruppi o categorie dipendenti dal loro“grado di trasformazione”.
1 – Alimenti non processati o minimamente processati
Sono tutti quegli alimenti venduti ancora più o meno “grezzi” (al massimo lavati, surgelati o essiccati), come frutta, verdura, funghi, alghe, semi ma anche uova, latte, certi tagli di carne, le interiora e l’acqua.
2 – Ingredienti culinari lavorati
Sono quegli alimenti ottenuti direttamente da una piccola trasformazione degli alimenti del primo gruppo. Sono usati in piccole dosi e principalmente come condimenti o ingredienti all’interno di preparazioni più complesse. Fanno parte di questo secondo gruppo sale, zucchero, burro, oli vegetali e miele.
3 – Alimenti processati
Per Monteiro i cibi processati sono dei cibi ancora semplici, ottenuti unendo gli ingredienti del primo e secondo gruppo e lavorandoli (fermentazione, salamoia…) per migliorarne la conservazione o il gusto.
Per rientrare in questa categoria i cibi non devono avere più di 3 ingredienti.
Sono ad esempio i legumi in scatola, i sottaceti, il pane a lievitazione naturale, gli affettati e i salumi, il pesce affumicato.
4 – Alimenti ultraprocessati
I cibi inseriti nel quarto gruppo sono tutti quelli ottenuti da preparazioni industriali che superano di molto i 3 ingredienti del gruppo precedente, soprattutto gli ingredienti culinari lavorati, che qui – a differenza di quanto accade per gli alimenti processati – sono usati non con parsimonia ma in abbondanza e ulteriormente lavorati e trasformati per aumentare la sapidità del prodotto.
Oltre a questi ingredienti, i cibi ultra-trasformati includono al loro interno sostanze che non si trovano nelle cucine casalinghe (come le proteine isolate della soia, le maltodestrine, e i grassi idrogenati).
Fanno parte del quarto gruppo le patatine fritte industriali, le bevande gassate e quelle zuccherate, tutti i dolci preconfezionati, il pane in cassetta, le creme spalmabili…
Come sempre, il problema non era nell’alimento ultraprocessato in sé, ma nel suo utilizzo smodato all’interno della dieta familiare. Un utilizzo spesso quotidiano e ripetuto nell’arco della giornata, a sostituzione dei piatti cucinati in casa.
Alla pubblicazione del sistema NOVA sorsero delle perplessità, superate successivamente dai dati ricavati da alcuni esperimenti di cui parleremo nel prossimo articolo.