Colesterolo: ecco cosa non vi hanno mai raccontato… Dobbiamo averne così tanta paura?

Il colesterolo Ldl-C è il grande spauracchio della salute nei Paesi industrializzati, da almeno 50 anni. Ogni morso di bistecca e ogni biscotto al burro ci fanno venire sensi di colpa: ogni volta che facciamo le analisi del sangue, lo controlliamo nella speranza che sia basso, sempre più basso, perché meno ce n’è e meglio è… Ma è proprio così?

Per le grandi multinazionali del farmaco indubbiamente si, visto che hanno costruito sui bassi livelli di colesterolo un business di medicinali e integratori tra i più redditizi al mondo; ma per la scienza medica?

Davvero “più basso è, meglio è”…?

In realtà le linee guida internazionali sono concordi nel raccomandare il trattamento con le statine solo nei soggetti con pregresse malattie cardiache per prevenire infarti e ischemie, ma divergono su quale sia il giusto livello di colesterolo sul quale stabilizzare i pazienti. La causa di questa incertezza sui valori ottimali di colesterolo viene solitamente attribuita alla mancanza di studi al riguardo: così nell’opinione pubblica – e anche in quella di parecchi medici e nutrizionisti – si è diffusa la convinzione che il colesterolo sia qualcosa di “negativo”, da contrastare di per sé, e da combattere costantemente, sia con l’alimentazione sia con i farmaci, anche per chi è in perfetta salute, perché “è meglio prevenire”. Certo, la prevenzione è fondamentale, ma deve essere attuata con criterio. Oggigiorno invece il colesterolo è diventato qualcosa di cui avere paura tout-court.

Ora sembra arrivato il momento di invertire la rotta: uno studio su un campione molto ampio di popolazione, condotto a Tel Aviv tra il 2009 e il 2013 (*), ha confermato inequivocabilmente che abbassare ai minimi il livello di colesterolo non garantisce in alcun modo maggiore prevenzione dai problemi cardiocircolatori. Questo studio esce inoltre pochi mesi dopo una ricerca pubblicata dal British Medical Journal, una delle quattro riviste mediche considerate più autorevoli al mondo. La ricerca si propone di rivalutare la dieta consigliata oggi ai pazienti con malattie cardiovascolari, alla luce di una raccolta di dati realizzata dalla Minnesota Coronary Experiment tra il 1968 e il 1973 ma fino ad oggi mai pubblicata su nessuna rivista del settore: lo studio voleva provare se la sostituzione dei grassi saturi con oli vegetali ricchi di acido linoleico, e il conseguente abbassamento del colesterolo sierico, avrebbero ridotto davvero i rischi coronarici e i decessi per malattie cardiovascolari. Ebbene, la ricerca dimostrava che la sostituzione dei grassi saturi di origine animale con oli vegetali ricchi di acido linoleico abbassava effettivamente i livelli di colesterolo nel sangue, ma non c’era alcuna prova a supporto dell’ipotesi che questo riducesse davvero il rischio di morte per malattie cardiache. 

Anzi, sorprendentemente, nei pazienti sopra i 65 anni, una diminuzione del colesterolo è stata persino associata a un aumento del 35% in più del rischio di morte, mentre nei pazienti al di sotto di quell’età non era evidente nessuna relazione tra il cambio di alimentazione e il rischio di morte. Il professor Ramsden, titolare della ricerca pubblicata da BMJ, si domanda perché questa ricerca sia stata finora ignorata dal mondo accademico, arrivando a ipotizzare che:

“la completa pubblicazione dei risultati randomizzati e controllati della sperimentazione potrebbe aver alterato decisioni politiche chiave che promuovevano la sostituzione dei grassi saturi con oli ricchi di acido linoleico o contribuito a un cambiamento sulle priorità di ricerca”.

Senza per forza scomodare ipotesi “speculative”, certamente i dati delle ricerche pubblicate dal British Medical Journal e da JAMA Internal Medicine obbligano oggi ad una revisione significativa del rapporto tra alimentazione, livello di colesterolo e malattie cardiovascolari. L’ipotesi sempre più accreditata è che le statine possono aumentare il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2: è importante quindi che vengano prescritte solo se strettamente necessario, uscendo da un circolo vizioso prescrittivo più imputabile a una “moda” che non alla scienza.

Le mode alimentari e la confusione tra “magrezza” e buona salute non aiutano mai a vivere a lungo, né a prevenire le malattie. Ogni alimento non è di per se nocivo, e demonizzare un singolo elemento finisce per non renderci un buon servizio. L’ipocolesterolemia non è meno pericolosa della sua condizione opposta: il colesterolo mantiene infatti sane le membrane cellulari, è utilizzato dalle ghiandole surrenali per produrre gli ormoni, permette la sintesi della vitamina D e degli acidi biliari ed è vitale per la funzione neurologica.

Per concludere…

Combattere la sedentarietà, variare l’alimentazione e ridurre le porzioni, senza doversi necessariamente privare di nulla, sono le semplici regole di vita che possono aiutarci a prevenire gravi malattie e a vivere più a lungo e in salute. Come sempre, la Dieta Mediterranea è la soluzione più semplice e alla portata di tutti.

 

 

(*) lo studio scientifico è stato svolto al Clalit Research Institute (http://clalitresearch.org/) di Tel Aviv e pubblicato sulla rivista JAMA Internal Medicine (http://archinte.jamanetwork.com/article.aspx?articleid=2528289)  a giugno di quest’anno: ha rilevato infatti che i pazienti con livelli di colesterolo Ldl-C compresi tra 70 e 100 mg/dL, che assumono statine, hanno un rischio di eventi avversi cardiaci inferiore rispetto a quelli con livelli di Ldl-C tra 100 e 130 mg/dL, ma che nessun ulteriore beneficio si ottiene raggiungendo valori di colesterolo pari o inferiori a 70 mg/dL di Ldl-C.

Autore dell'articolo: Redazione