Il prof. Agostino Macrì, biologo, pluridecennale carriera nella tutela della sicurezza alimentare presso l’Istituto Superiore di Sanità, risponde indirettamente ai temi sollevati dall’On Mirko Busto sulla salubrità e sostenibilità dell’olio di palma, sollevando interessanti interrogativi sul perchè delle campagne di demonizzazione di questo alimento.
L’olio di palma è entrato pesantemente nella nostra alimentazione, in quanto ampiamente utilizzato dall’industria alimentare, al punto da sembrare insostituibile fino a poco tempo fa… quali sarebbero le alternative a questo ingrediente, e con quali pregi e difetti?
Un punto che deve essere chiarito è che l’olio di palma è quello maggiormente utilizzato nel mondo. Si usa da millenni nelle culture orientali. Ha una resa per ettaro da 5 a 10 volte superiore agli altri oli vegetali. Questo ovviamente consente di creare economie di scala che lo rendono più vantaggioso dal punto di vista economico. Qui da noi è utilizzato in ambito alimentare per la preparazione artigianale e industriale di molti alimenti e non come condimento diretto dei nostri piatti. Possiede caratteristiche nutrizionali e organolettiche simili al burro e alla margarina. Rispetto al burro non contiene colesterolo ed è più sicuro della margarina perché è privo di acidi grassi idrogenati. Come per tutti gli alimenti è una questione di quantità.
Nell’intervista a noi rilasciata, l’On. Mirko Busto sostiene che si può eliminare il ricorso all’olio di palma, tornando a uno stile di vita più “genuino”, preparando dolci in casa anziché comprarli al supermercato… ma nel frattempo che si rivede alla radice il nostro intero sistema sociale, cosa che oggettivamente richiederebbe almeno una generazione, quali conseguenze causerebbe l’abbandono dell’olio di palma in favore di altri olii vegetali? Alcune case ed industrie hanno già annunciato questa scelta.
Eviterei inutili allarmismi. L’olio di palma non è dannoso per la salute in sé , ma avendo un quantitativo di grassi saturi pari a circa il 50%, va inserito all’interno di una dieta bilanciata, che nel suo complesso non apporti più del 10% di grassi saturi nel suo complesso. In Italia si consumano molti formaggi e insaccati, ricchi di grassi saturi. Gli stili di vita più “genuini” ed il consumo di dolci fatti in casa non è detto che siano i migliori per la nostra salute. Non tutti sanno che gli alimenti industriali sono il frutto di studi approfonditi e che una “merendina” offre garanzie nutrizionali e di sicurezza alimentare che non ha nulla da invidiare ad una fetta di ciambellone o a una fetta di pane ricoperta di burro e marmellata. La gradevolezza è però generalmente migliore per i prodotti industriali e il pericolo è quello di eccedere nei consumi. Sostituire l’olio di palma con altri grassi è uno “specchietto per le allodole” che, sull’onda di un allarmismo mediatico, qualche industria alimentare, o catena di distribuzione degli alimenti, utilizza per “catturare” la clientela.
Ma la composizione chimica dell’olio di palma è poi davvero così diversa rispetto, per dire, all’olio di semi?
Ogni grasso ha un valore nutrizionale diverso. La differenziazione più netta riguarda il contenuto di acidi grassi insaturi e saturi. Un elevato consumo di acidi grassi saturi può essere dannoso. L’olio di palma, come il burro, la margarina, l’olio di cocco, il burro di cacao, contiene un’elevata percentuale di acidi grassi saturi. Anche il “nostro” olio di oliva contiene acidi grassi saturi, ma in percentuale decisamente più bassa, tuttavia ne consumiamo molto e quindi in valore assoluto introduciamo anche grassi saturi. Il consumatore dovrebbe quindi scegliere i propri alimenti leggendo sulle etichette il contenuto di acidi grassi saturi, indipendentemente dalla presenza di olio di palma o di burro o altri grassi.
Il famoso rapporto dell’FSA, organismo di controllo della salute alimentare UE, fornisce dei dati allarmanti sulla tossicità degli oli vegetali. Lei però sostiene che il problema non consista tanto nell’alimento in se ma nella sua lavorazione, può spiegarci meglio?
Il parere dell’EFSA non riguarda la “tossicità degli oli vegetali”, né la tossicità dell’olio di palma, ma è una valutazione dei rischi di alcune sostanze (glicidili esteri) che si possono formare a seguito di trattamenti termici dei grassi e che sono state ritenute molto pericolose e, per una di esse, potenzialmente cancerogena. L’EFSA, nel formulare il proprio parere, ha anche riportato i dati di alcune analisi su vari prodotti dai quali risulta che alcuni campioni di olio di palma ne sono particolarmente ricchi. L’EFSA non ha avuto modo di approfondire questo aspetto. Esistono dati che sembrerebbero dimostrare che non tutti gli oli di palma sono contaminati, che esistano diverse qualità di olio di palma. A tale proposito è bene citare i risultati di uno studio condotto da una associazione di consumatori tedeschi (Stiftung Warentest) su una ventina di “creme spalmabili” con e senza olio di palma. Dai risultati ottenuti è emerso che una famosa crema con olio di palma praticamente è esente dai contaminanti; una crema biologica italiana e con olio di girasole è quella maggiormente contaminata.
Questa informazione non è stata presa in considerazione, forse perché scritta in tedesco e non conosciuta, dai tanti nostri esperti. Tuttavia sembrerebbe dimostrare che il problema dei contaminanti sia trasversale e che vada tenuto sotto controllo per evitare di creare allarmismi ingiustificati, o, peggio ancora, alimentare false certezze. Va considerato che gli oli vegetali di altra natura (di semi come colza o girasole), per essere impiegati a livello industriale, devono subire un processo di lavorazione chiamato “interesterificazione” che ne modifica la struttura originaria. Insomma, si cambia “artificialmente” la natura dell’olio per renderlo “solido o cremoso” e quindi adatto all’utilizzo industriale. L’olio di palma non ha bisogno di questi procedimenti perché è “naturalmente” solido e duttile. L’olio di girasole che potreste trovare nei prodotti industriali, non è lo stesso della bottiglia che tutti noi conosciamo.
Quale sarebbe – secondo la sua qualificata opinione, avendo lavorato decenni all’Istituto Superiore di Sanità proprio sulla sicurezza alimentare – una corretta politica da parte degli enti regolatori nazionali ed europei, per tutelare la salute dei consumatori da inquinanti e “deviazioni” tossiche nell’utilizzo di questi ingredienti?
Gli “enti regolatori”, cha hanno la responsabilità della gestione del rischio alimentare, nel caso specifico dei glicidil esteri dovrebbero definire i livelli massimi accettabili nelle materie prime e imporre alle aziende di rivedere le tecniche di produzione al fine di eliminare o ridurre la quantità dei contaminanti. Ovviamente dovrebbero attivare specifici sistemi di autocontrollo.
Professore, Lei è attivissimo nel portare avanti campagne di corretta informazione, e spesso nello smentire “bufale” vere e proprie nel mondo dell’informazione alimentare… dopo anni di esperienza in questa materia, che opinione si è fatto dei tanti allarmismi ingiustificati, e in certi casi delle vere e proprie fandonie che si sentono in questo settore? In poche parole… chi trae giovamento nel seminare panico tra i consumatori? Possiamo parlare di un “complotto di complottisti”?
Gli allarmismi e le “bufale” non credo che siano gratuite o ingiustificate. E’ fuori discussione che l’alimentazione e l’industria alimentare muovono interessi economici giganteschi. Spostare o convincere il cittadino ad acquistare un alimento piuttosto che un altro può fare la fortuna o la disgrazia di qualche azienda. Non mi sentirei di escludere quindi che i movimenti di opinione siano “pilotati” da qualcuno che può trarre vantaggi da questa situazione. Un allarme alimentare aumenta notevolmente l’”audience”; i giornalisti possono sbizzarrirsi nelle ipotesi più catastrofiche possibili. Trovare degli esperti che sostengono tesi allarmistiche non è assolutamente difficile. Ci sono poi i cuochi che sono diventati nutrizionisti, tossicologi, ambientalisti, ecc. che, con una comparsa televisiva, riempiono i loro ristoranti. Insomma c’è un sottobosco di interessi più o meno occulti che approfitta della buona fede dei cittadini che, alla fine, sono quelli che ci rimettono in termini di salute ed anche economici.