Con l’intento di fornire una completa informazione sul tanto dibattuto argomento dell’olio di palma, abbiamo intervistato uno dei principali oppositori di questo alimento: l’Onorevole Mirko Busto del Movimento 5 Stelle, Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici Camera dei Deputati
L’Olio di Palma è entrato prepotentemente nel mercato alimentare in sostituzione principalmente di altri tipi di grassi quali quelli polinsaturi e le margarine, che sono ritenuti scientificamente molto più insalubri. La scelta dell’Olio di Palma è stata quindi il compromesso fatto tra salute e necessità dei grandi produttori alimenti (garantire la lunga conservazione dei prodotti e la loro competitività economica).
Gli altri oli vegetali analizzati nel Report dell’Efsa non si discostano poi molto nella composizione dall’Olio di Palma, sono forse parzialmente più sani, ma hanno una produttività molto più bassa rispetto all’Olio di Palma, quindi richiederebbero un consumo molto maggiore di terreno e risorse per produrre le stesse quantità di prodotto.
Quindi la prima domanda che le pongo è: non sarebbe più efficace e immediato investire nella regolamentazione delle certificazioni di sostenibilità dell’Olio di Palma, garantendone la veridicità attraverso un ente esterno sovranazionale e indipendente?
Parlare di sostenibilità in una produzione di questo tipo è molto complicato: c’è un ciclo di produttività che dura 20-25 anni dopodiché il suolo rimane sterile quindi, gioco-forza, questo ciclo produttivo finisce per alimentare nuova deforestazione.
In più c’è un altro problema grossissimo: si parla di controllare l’altra parte del mondo e nello specifico controllare zone dove la corruzione è endemica, altissima, dove il controllo del territorio è molto difficile perché non si hanno proprio le risorse per farlo.
Ricordiamoci che in Italia non riusciamo a controllare nemmeno il nostro di territorio, a difenderlo dalle discariche abusive, quindi come possiamo pensare di controllare l’altra parte del mondo per realizzare una produzione sostenibile?
C’è poi un secondo aspetto molto importante: qui si da per scontato che noi abbiamo un consumo di grassi vegetali che è costante, anzi molto in crescita, e che quindi dobbiamo sostituire l’Olio di Palma con altri grassi vegetali più sani che producono meno per resa per ettaro; questo pensiero non è realistico, il consumo di grassi vegetali è cresciuto in maniera esponenziale negli ultimi 50 anni perché è cambiato lo stile di vita alimentare, è cambiato il modo in cui produciamo prodotti industriali ed è aumentato il numero di prodotti industriali che consumiamo.
Ora, noi non vogliamo fare i populisti, però dovremmo chiederci anche se è possibile continuare su questa strada: alle volte Beppe Grillo diceva nei suoi spettacoli “invece di mangiare tutte queste merendine con gasso di palma, zucchero, grano con glutine aumentato, forse dovremmo trovare il modo di produrci il cibo il più possibile in maniera più sana, dando il tempo alle persone di produrlo nuovamente”.
Oggi nell’era della globalizzazione sembra un’illusione, sembra che siamo obbligati a comprare qualsiasi cagata ci propinano da dare ai bambini perché non c’è più tempo per fare nulla, ma in realtà questo sistema non va da nessuna parte, non è sostenibile e non è estendibile a tutta la popolazione perché se 7 miliardi di persone consumassero i quantitativi di grassi vegetali che abbiamo noi nelle nostre merendine, dove troveremmo abbastanza foreste da disboscare?
Quindi dobbiamo superare la contingenza dell’adesso e fare la politica, che significa domandarsi dove vogliamo andare e se ha un senso la strada che abbiamo intrapreso. Noi abbiamo una visione di Paese nella quale le madri – e i padri – avranno il tempo di preparare delle merende ai propri figli senza dover ricorrere così tanto alle merendine industriali. E quindi l’Olio di Palma non ci servirà, useremo l’Olio di Oliva.
Sono già in molti i produttori che hanno sostituito l’Olio di Palma con altri oli, quindi la sostituzione è possibile; è vero, la produzione costerà qualcosa di più al produttore ma il costo monetario non tiene conto del danno ambientale e del danno sanitario che poi pagherà la collettività.
Per il principio di precauzione lo Stato ha il dovere di rimuovere eventualmente un ingrediente se questo può portare danni di genotossicità e cancerogenicità.
Salute e ambiente poi sono interconnessi, quindi ciò che nuoce all’ambiente nuoce alla nostra salute: Olio di Palma significa oggi anche cambiamento climatico e distruzione della biodiversità.
Ma non si può avere anche una visione di sistema che sia globale e attuabile in tempi brevi?
Cambiare il sistema sociale e permettere alle famiglie di comprare tutto a km0, biologico e dal contadino di fiducia per poi cucinare tutto a casa propria – evitando in più che ricada tutto sulle donne, visto che in Italia si tende a metterci solo loro in cucina – non è qualcosa che si realizzerà nei prossimi 5 o 10 anni. Oggi le persone lavorano 40 ore a settimana o anche di più, abitano dall’altra parte della città rispetto al posto di lavoro o sono persino pendolari, non c’è il rischio che si vada a creare un dislivello tra i poveri che sono costretti a nutrirsi con prodotti scandenti e non controllati e i ricchi che possono permettersi un’alimentazione di prima qualità?
Stigmatizzare i prodotti industriali tutti come scadenti e quindi sabotarne l’immagine a favore invece dei cibi più costosi non rischia di produrre una dicotomia che non porta a un miglioramento sociale?
Con le politiche oggi in atto il rischio c’è, basta pensare al TTIP che vuole il PD: noi avremo sul mercato un’invasione dei prodotti statunitensi a basso costo fatti con gli OGM e grassi scadenti, quindi la competizione sul mercato si farà ancora più spietata, anche rispetto alla grande distribuzione italiana che magari cerca di produrre un pochino meglio e con maggiore attenzione alle materie prime. Per questo serve una politica forte che ragioni sulle lunghe distanze temporali.
Sta sparendo la classe media e in questa società classista la soluzione sta nella visione di un sistema diverso che, anche se non ha risposte immediate, deve reagire pensando a dove si vuole andare nel futuro.
Sarà poi lo Stato a trovare le soluzioni per rendere più vivibile la quotidianità delle famiglie, a trovare il tempo per sé. Certo, nell’Italia preda della disoccupazione è difficile parlare di “lavorare meno”, ma in Europa ci sono movimenti politici che parlano di 30 o 20 ore lavorative, si parla di restituire all’essere umano il tempo da investire in ciò che ama.
Dal punto di vista della salute vera e propria del consumatore, negli ultimi anni ci sono stati molti allarmi e allarmismi alimentari, alcuni fondati ma molti strumentalizzati dai media per aumentare l’audience.
Si tende insomma a demonizzare facilmente un singolo elemento nutritivo piuttosto che uno stile di vita e di alimentazione nel suo insieme (mangiare troppo e muoversi troppo poco).
Le chiedo quindi se ha senso accanirsi su un singolo elemento nutrizionale e, sopratutto, se non è molto più grave quello che è invece emerso dalla BlackList della Coldiretti, redatta sempre partendo da un rapporto dell’Efsa, che segnala quanti alimenti contaminati da pesticidi banditi in Europa superino i controlli ed entrino nel nostro mercato sparendo poi all’interno delle trasformazioni alimentari?
Ai nostri produttori imponiamo diverse regole molto severe ed effettuiamo controlli rigidi sulle loro produzioni, come è possibile che poi i loro prodotti si ritrovino a competere in maniera sleale con prodotti più economici ma pericolosi per la salute?
Sono questioni parimenti gravi, per questo bisogna portare avanti una visione di sistema.
Il problema spesso è la comunicazione di massa che si riduce alle discussioni disinofrmate tra il sostenitore acritico di una cosa e il sostenitore acritico del suo opposto, trasformandosi in una rissa che non porta a nessuna informazione. Lo Stato ha il dovere di diffondere una corretta informazione tra i cittadini.
Proprio restando in tema di corretta informazione, circa un mese fa la Commissione Europea ha aperto una procedura di infrazione verso il Regno Unito per la nota vicenda delle “etichette alimentari a semaforo” contro le quali molto si era battuto il nostro Comitato, che è invece a favore di una trasparenza assoluta delle etichette alimentari, che informi i cittadini non soltanto delle calorie e delle percentuali dei vari nutrienti ma, soprattutto, garantisca la tracciabilità di tutte le materie prime che compongono il singolo prodotto industriale trasformato.
Il M5S come si pone al riguardo e quali azioni ha intrapreso?
Noi siamo completamente allineati su questa questione.
In fondo si torna all’argomento di prima: finché nelle etichette era segnalata genericamente la presenza di “oli vegetali” noi non sapevamo che ci fosse Olio di Palma in quei prodotti, quindi non sapevamo nemmeno che in quel prodotto c’era un alimento che arrivava dall’altra parte del pianeta.
Un’etichettatura trasparente sia sull’ingrediente che sulla provenienza è fondamentale, così come l’educazione dei consumatori e la loro capacità di interpretare quello che c’è scritto su un’etichetta.
Gli Usa con il TTIP stanno puntando a eliminare dall’etichettatura la denominazione di origine controllata (DOC) e tutte le etichette che indicano da dove provengono i prodotti perché per loro quella è concorrenza sleale, sapere da dove viene qualcosa secondo loro è concorrenza sleale!
Però per noi è fondamentale sia come consumatori che come Paese: l’Italia è un paese che non può competere sui grandissimi quantitativi, noi vendiamo qualità e in più l’interazione tra qualità, paesaggio, cultura agroalimentare e cultura in toto. Noi vendiamo questa interazione e non un singolo prodotto.
Quindi sicuramente siamo d’accordo, questa è la direzione da intraprendere perché il nostro Paese deve tutelare quella che è la sua forza.
Grazie e buon lavoro.