Intervista alla dottoressa Stefania Ruggeri

Informazione Alimentare: come il giornalista deve leggere uno studio scientifico e come i lettori devono interpretare le notizie in ambito nutrizionale

Ogni giorno siamo bombardati da migliaia di notizie, una buona percentuale delle quali riguarda quello che mangiamo (o che dovremmo/non dovremmo mangiare).

Come può il lettore orientarsi in questo mare magnum di informazioni e dare ad ognuna il giusto peso e la giusta dose di fiducia?

Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Stefania Ruggeri, ricercatrice presso il CREA, il più importante ente di ricerca sull’agroalimentare, con il quale noi di Mangio Bene Vivo Bene abbiamo instaurato da poco una collaborazione per un progetto di diffusione della corretta informazione alimentare.
La dottoressa Ruggeri è inoltre docente di Scienze della Nutrizione Umana presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Roma Tor Vergata, con la cattedra di Comunicazione in Nutrizione. Ha colla borato alla stesura dei LARN 2014 (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia) per la popolazione italiana.

Com’è cambiato il rapporto tra ricerca scientifica e mass media?

Prima i lavori dei ricercatori erano accessibili solo ad altri studiosi, che erano gli unici in grado di comprenderli e trasformarli nel tempo in una solida e condivisa evidenza scientifica.

Oggi non è più così: gli articoli pubblicati sulle riviste scientifiche vengono immediatamente diffusi dai giornalisti, che non sempre sanno valutarli e spiegarli in modo corretto ai lettori.

In particolare, negli ultimi anni  i mass media si occupano molto, anzi troppo di alimentazione e di qualsiasi cosa di scientifico sia ad essa correlato. Assistiamo ad una vera e propria overdose di articoli e interviste, perché si tratta di un topic caldo, molto seguito, perché è aumentata l’attenzione che le persone prestano a ciò che mangiano.

Quindi per i ricercatori è stato necessario diventare anche bravi comunicatori?

Si. Lavorando insieme ad ISS e Ministero della Salute a delle campagne di promozione su corretta alimentazione e stile di vita, mi sono resa conto che la comunicazione tra ricercatore e giornalista è fondamentale.

Io ho conseguito un master proprio sulla comunicazione scientifica in Italia e poi mi sono specializzata all’estero presso una vera e propria agenzia di comunicazione.

Buona parte dei ricercatori oggi ha colto l’importanza di relazionarsi con i media nel modo più efficace possibile per veicolare efficacemente le proprie ricerche e ha imparato a farlo.

Cosa sbagliano i giornalisti quando diffondono notizie scientifico/nutrizionali ?

Un tempo i giornalisti si formavano, si specializzavano in un settore per poterlo trattare con cognizione di causa.

Oggi troppo spesso non sono “skillati”, trattano qualsiasi tema senza avere gli strumenti per affrontarlo.

Invece, la formazione è importantissima, non ci si può improvvisare esperti, perché ormai parlare di alimentazione ai propri lettori, telespettatori o utenti è come parlare loro delle proprietà di un farmaco: si tratta di una grande responsabilità in termini etici, con ricadute importanti.

Molte persone, infatti, credono che l’alimentazione sia la panacea contro tutti i mali e che, aumentando o eliminando l’assunzione di un determinato alimento piuttosto che di un altro, possano risolvere tutti i loro problemi di salute, anche in caso di patologie gravi.

Il giornalista dunque deve conoscere per poter informare su questi temi e favorire nel pubblico un aumento delle conoscenze.

Bisogna tenere presente che oggi l’alimentazione è davvero un determinante di salute importantissimo: una corretta alimentazione e uno stile di vita sano sono la base della prevenzione di almeno il 30% delle patologie più diffuse, se non di più. E vent’anni fa certamente non era così.

Una notizia senza evidenza scientifica forte, ma promossa come punto di svolta nella nutrizione, è pericolosissima, perché può arrecare un danno alla salute.

Come si arriva dai dati scientifici alle raccomandazioni di salute?

La scienza segue un lungo percorso prima che una raccomandazione arrivi alla popolazione.

“La Scienza è ricerca della Verità. Ma la Verità non è Verità certa” , diceva Karl Popper, ed è così: la scienza è il contrario della religione, non è dogmatica, procede per evidenze.

Ogni laboratorio fa degli esperimenti, utilizzando approcci e metodologie differenti. E già questa prima scelta di metodo può condizionare i dati finali che vengono pubblicati come articoli su riviste scientifiche. Ma attenzione: non tutte le riviste scientifiche hanno lo stesso grado di autorevolezza.

Il giornalista deve quindi conoscere prima di tutto il valore della rivista, poi comprendere lo stadio dello studio, individuandone la posizione all’interno della “Piramide dei livelli di evidenza”[FOTO], che mostra a che punto del percorso di evidenza si trova un determinato studio.

Lo Studio Clinico Randomizzato (RCT) ha la validità maggiore, perché confronta gli esiti di due o più trattamenti su soggetti assegnati in modo casuale (random) e quindi permette “il doppio cieco”, ovvero l’accorgimento per il quale né il ricercatore né il paziente sanno quale dei due trattamenti viene somministrato, evitando così le distorsioni da rilevazione degli esiti legate alle aspettative.

Lo Studio di Coorte è uno studio clinico di un gruppo di persone con caratteristiche definite, che vengono seguite per un ampio lasso di tempo per determinare gli esiti riguardanti la loro salute. Molti riguardano gli effetti degli stili alimentari.

Le meta-analisi sono la sintesi quantitativa dei risultati di trial  controllati e randomizzati dello stesso trattamento in una particolare condizione. Purtroppo è facile giocare con le meta-analisi per ottenere i risultati sperati, per questo è importante conoscere gli eventuali conflitti di interesse che possono esserci.

Le più affidabili sono le meta-analisi della Cochrane Collaboration.

Il giornalista deve limitarsi a divulgare solo i risultati degli studi con una forte robustezza delle evidenze o può parlare anche di tutte le altre ricerche?

Il giornalista deve comunque poter dare la notizia quando esce una nuova ricerca, non deve essere censurato, ma deve avere etica professionale e trasmettere la notizia nel modo corretto, spiegando chiaramente, ad esempio, che non c’è ancora un dato certo, ma si tratta di una prima analisi.

In campo nutrizionale, l’evidenza scientifica è difficile da trovare, gli effetti di un farmaco sono decisamente più evidenti e facili da riconoscere. Più difficile è invece definire le abitudini alimentari delle persone.

Oltre alla posizione sulla “Piramide dei livelli di evidenza”, il giornalista deve saper riconoscere anche i conflitti di interesse presenti in un determinato studio (prima di tutto la provenienza dei finanziamenti),.

Si tratta di elementi molto importanti nella lettura e soprattutto nella reale comprensione dei lavori scientifici, che non pregiudicano necessariamente l’onestà  della ricerca e l’etica del ricercatore, ma possono costituire un fattore di distorsione dell’evidenza scientifica.

La rilevanza di una ricerca la decide il tempo, con il consolidamento delle conoscenze che si trasformano in evidenza, per questo non si può dire ai giornalisti quali informazioni scientifiche diffondere e quali no.

Quando l’evidenza è robusta, il giornalista non deve comunque commentarla nel merito, ma descriverla.

Per un commento può affidarsi ai suoi esperti di fiducia. Meglio ancora l’intervista due esperti che hanno posizioni contrastanti.  Questo aiuterà i lettori a capire che la scienza non è dogmatica e che in ambito scientifico esiste una varietà di vedute laddove non sia ancora stata detta l’ultima parola.

Quindi i lettori come devono comportarsi di fronte a una notizia in ambito nutrizionale?

I lettori devono accettare che non esistono soluzioni semplici del tipo: “elimino questo, aumento il consumo di quello e vivrò 200 anni sempre perfettamente in salute”.

Devono comunque informarsi, leggere di tutto e su tutto, ma devono prendere queste informazioni non come dettami né come trasposizione diretta nella loro vita quotidiana (soprattutto in presenza di patologie o stati di salute particolari), ma come aumento delle loro conoscenze.

Nessuno prenderebbe un farmaco senza prescrizione medica. Perché si va da un avvocato se si ha un problema legale, ma non si va dal nutrizionista se si ha un problema di salute?

Se nelle scuole elementari si insegnasse che cos’è il metodo scientifico, si avrebbero lettori molto più preparati e capaci di discernere e valutare le notizie.

Quali sono le fonti di cui si può “fidare” il lettore?

Il lettore deve affidarsi alle fonti più importanti, prima di tutto le istituzioni pubbliche (OMS, Ministeri della Salute, EFSA…), perché non hanno conflitti di interesse, poi le testate accreditate, verificando però chi sono sponsor ed editori, per avere ben chiaro  gli eventuali conflitti di interesse.

Autore dell'articolo: Redazione