SEMAFORI ALIMENTARI: VERSO LA ‘PROCEDURA DI INFRAZIONE’ PER IL REGNO UNITO?

Qualcosa si muove, a livello Europeo, contro la scorretta pratica dei “semafori alimentari”: un sistema di etichettatura che viola le regole sul mercato unico europeo, a detta delle organizzazioni rappresentanti l’industria agroalimentare italiana.

Sentiamo in questo estratto della trasmissione “FOCUS ECONOMIA” – Radio24 del 15/06/2016, come è stato trattato l’argomento:

Iniziativa dell’industria agroalimentare italiana supportata da altri paesi europei per chiedere a Bruxelles che si vada avanti con forza nella procedura contro la Gran Bretagna che ha messo in atto un sistema di etichettature del tutto unilaterale sui prodotti alimentari – di fatto – va ad avvantaggiare con i “semafori” i marchi della grande distribuzione inglese a discapito dei prodotti di importazione italiani, francesi e spagnoli con dei danni che ci sono già stati sia in volume che in valore nelle nostre esportazioni verso un mercato dell’agroalimentare per noi fondamentale come  la Gran Bretagna.

Da un lato è stata presentata la 18esima edizione del Cibus, la più importante fiera del settore agroalimentare italiano, e quasi in coincidenza con questa presentazione, il 14 marzo il Governo italiano, a Bruxelles ha riaperto la discussione sulla procedura di infrazione contro il Governo britannico, riguardo quella decisione unilaterale presa da Londra nel 2013, il famoso “semaforo nutrizionale”, un semaforo che va a elaborare le etichette alimentari i cui colori verde, giallo e rosso vanno a indicare la maggiore o minore presenza di nutrienti. C’è una proceduta di infrazione perché andrebbe a violare le regolo del mercato unico europeo.

Intervista al presidente di Federalimentare, Luigi Scordamaglia, in diretta “di fatto penalizza con un bollino rosso prodotti di grande qualità quali il parmigiano o il prosciutto di Parma solo perché attribuisce un valore negativo solo alla presenza di una modesta quantità di sale rispetto magari di grassi, mentre avvantaggia tutti quei prodotti riformulati, chimici, con edulcoranti chimici o ingredienti di bassissimo livello qualitativo, quali il siero di a cui attribuisce invece un bollino verde.

Quindi in maniera semplicistica, invece di valutare complessivamente la qualità di un alimento, lo classifica in buono o cattivo sulla base di una formulazione chimica che non risponde assolutamente all’effettiva qualità del prodotto” – si sono appoggiati a qualche ricerca? – “No, sono indicazioni molto generiche quelle che dicono che bisogna contenere la quantità di grassi o sale  invece considerare il tetto giornaliero. Il motivo vero per cui lo hanno fatto è che il questo modo vengono premiate le private lable, le PL, le singole catene di retailer che fanno dei prodotti a più basto costo che vanno ad avere un effetto sostitutivo, perché indirizzano di fatto il comportamento consumatore verso prodotti che valgono meno e costano meno” – c’è una lobby? – “Si, e non solo è una lobby ma la presentazione, ieri dello studio che abbiamo fatto fare a Nomisma dimostra in maniera assolutamente incontestabile che è sufficiente applicare questo tipo di traffic light, questa  etichettatura, per ottenere immediatamente un calo dei prodotti etichettati in questo modo e, al contrario, un aumento di quelli che l’etichettatura di questo tipo non ce l’hanno. Quindi ci aspettiamo che la Commissione, che ha già avviato una procedura di infrazione, faccia seguito alla cosa, perché la stessa Commissione, nei profili nutrizionali che aveva stabilito a Bruxelles, ha giudicato non idoneo questo tipo di sistema. Gli inglesi provano a proporlo dicendo che è ‘volontario’, ma ‘volontario’ in realtà non è perché il 98& dei retailer inglesi lo stanno già applicando” – quindi voi siete certi che sia per aggevolare questa lobby?-   “Assolutamente si. Perché basa su elementi scientifici che non sono stati considerati adeguati e sufficienti dalla stessa Commissione quando ha dovuto stabilire il metodo per stabilire i profili nutrizionali dei prodotti” – Un effetto purtroppo lo ha già avuto: dal 2013 al 2015 le quote di mercato di alcuni prodotti, anche di qualità, italiani sono calate, per esempio  meno 7% il parmigiano, meno 8% il formaggio francese brie… Infatti si sono uniti all’Italia anche Portogallo ,Romania, Spagna, Grecia, Cipro e Francia, no? – “La posizione francese al momento non è chiarissima anche perché, anche in quel Paese, ci sono un po’ di conflitti tra chi vorrebbe avvantaggiare i prodotti PL rispetto alle stesse eccellenze francesi” – colpisce il 60% dei prodotti italiani con indicazioni sbagliate4 e fuorvianti, dice la Coldiretti – “Siamo spaventati che la Commissione Europea,  pur di non disturbare durante il Brexit il Regno Unito, arrivi a compromessi sulla tutela del consumatore” – il caso dell’olio tunisino senza dazi, ma sono anche le nostre imprese che spesso usano olio tunisino, greco, marocchino… senza chiarirlo. Non c’è un po’ di ipocrisia nel settore? – “No. Andando al di là della questione specifica dell’olio noi per tutta una serie di filiere non autosufficienti, abbiamo bisogno di materie prime provenienti da altri Paesi. Quello che oggi deve essere ben chiaro, e ci sono le norme, è la provenienza dei singoli alimenti”.

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Autore dell'articolo: Redazione