Alle radici della cultivar Cesanese di Olevano Romano

Alle radici della cultivar Cesanese di Olevano Romano

Al via il progetto per l’individuazione di biotipi autoctoni nei vigneti dei territori di Olevano Romano, Genazzano e San Vito

Al confine tra la provincia di Roma e quella di Frosinone, caratterizzata dalla presenza della Valle del fiume Sacco e compresa tra i Monti Ernici ed i Monti Lepini, si trova l’areale di produzione del vino Cesanese, vitigno autoctono laziale a bacca scura, coltivato da sempre nei dintorni di Roma. Un rosso rubino che con la maturità vira al granato ed ha un profumo caratteristico simile alle visciole mature. Un patrimonio di gusto, tradizione e biodiversità da tutelare e al quale è dedicata il progetto di ricerca che è stato presentato lo scorso 12 febbraio nel corso del webinar “Alle radici della cultivar Cesanese di Olevano Romano”. Finanziato dal Gal Terre di Pre.Gio, è focalizzato sui vitigni autoctoni di Olevano Romano, Genazzano, San Vito Romano e vede la partecipazione di CREA Viticoltura ed Enologia, ARSIAL, (Agenzia regionale del Lazio per lo sviluppo e l’innovazione in agricoltura) e la Strada del vino Terre del Cesanese di Olevano Romano.

“Ad oggi”, mentre si registra un interesse crescente a livello mondiale per i vini da vitigni autoctoni, come si legge nella relazione tecnica del progetto, di cui è capofila il Comune di Olevano Romano, “non esiste uno studio approfondito e dettagliato sul patrimonio della biodiversità viticola dell’area”: è sufficiente che un vecchio viticoltore muoia ed ecco che spesso il suo vigneto può facilmente essere abbandonato, le viti estirpate e, in un attimo, il loro secolare e prezioso patrimonio perduto per sempre. Questa è la sfida che sta alla base della ricerca: la biodiversità come patrimonio di tutti, che un territorio e i suoi abitanti per primi sono chiamati a riconoscere, tutelare e valorizzare. Lo studio durerà tre anni: una prima fase di indagine preliminare nei vigneti dell’areale descritto, al fine di identificare biotipi di cesanese sulla base di un primo screening ampelografico. In seguito, il materiale vegetale degli stessi verrà sottoposto ad analisi virologiche e genetiche. La seconda fase della ricerca riguarderà l’individuazione dei biotipi di maggior interesse e sugli stessi verranno eseguiti tutti i rilievi ampelografici, ampelometrici oltre alla caratterizzazione quali-quantitativa delle uve, dei mosti e dei vini.

Scheda del Cesanese

Corposo e morbido al gusto, con finale lievemente ammandorlato, per tradizione si associa alle castagne quando è giovane, all’agnello quando raggiunge la “mezza età” e a piatti importanti a base di selvaggina e carni rosse a maturità completa. Oltre ad essere l’uva principale di numerose DOC, come quella di Olevano Romano, il cesanese ha ricevuto la DOCG con il Cesanese del Piglio. Il nome denota quanto il vitigno sia antico. Non si hanno elementi in merito alle origini di questo vitigno che potrebbe appartenere al gruppo delle «Alveole» descritte da Plinio. Di certo è che questa uva da sempre viene coltivata nel Lazio ed in particolare nei comuni del Piglio, Olevano Romano e Affile, tra i suoi territori di origine e più vocati. E questo vale per entrambe le ipotesi che cercano di tracciarne l’etimologia: la prima vede nel termine “cesanese” l’evoluzione di cesarese (di Cesare), in riferimento quindi all’origine romana; la seconda fa risalire il nome di quest’uva a bacca rossa alla costituzione della colonia romana che sorgeva in zona: qui furono impiantate le prime vigne lungo i pendii della vallata, un tempo ricoperti di boschi, che per far spazio ai filari venivano abbattuti. Cesanese sarebbe così il vino prodotto nelle “caesae”, cioè “luoghi dagli alberi tagliati”.

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Giulio Viggiani – Ufficio Stampa CREA stampa@crea.gov.it – www.crea.gov.it

Autore dell'articolo: Redazione